“Signor Presidente, dobbiamo chiamare il diavolo con il suo nome. Questi sono suprematisti bianchi e questo è terrorismo.” Parole di Cory Gardner, senatore repubblicano. E’ una delle molte voci che si levano in queste ore dopo i fatti di Charlotsville.
Nel commentarli, per la prima volta, Trump sembra aver abbandonato, almeno per ora, i toni esplosivi usati ad esempio per la questione coreana, o per quella venezuelana. Il presidente ha esecrato la violenza ma non ha detto una parola di condanna per i suprematisti bianchi.
“Sono la persona meno razzista che potete incontrare” aveva detto Trump nel 2016. E nessuno lo accusa né può accusarlo di razzismo. Ma lui stesso ha dovuto prendere le distanze recentemente da David Duke ex membro del ku klux klan che lo aveva apertamente appoggiato nella campagna elettorale e che oggi twitta: “caro presidente ti raccomando di guardarti allo specchio e di ricordarti che sono i bianchi americani ad averti portato alla presidenza, non i radicali di sinistra”. Un “memento” imbarazzante . Non dimentichiamo che Trump arriva alla casa bianca dopo il primo presidente afromericano della storia e molti, negli Stati Uniti, vivono la sua presidenza come un rivincita. A Charlottesville la manifestazione dei suprematisti bianchi protestava contro la rimozione della statua di un generale confederato della guerra civile americana. In testa al corteo c’erano striscioni razzisti, antisemiti e il motto “make america great again” lo slogan della campagna elettorale di Trump.
Un’America di nuovo razzista come negli anni 50? Non esageriamo. Ma il pericolo esiste e non va sottovalutato come testimoniano le parole, queste molto nette, dell-attorney general Jeff Sessions: “la violenza e le morti di Charlottesville sono un colpo al cuore della legge e della giustizia in America. Quando queste azioni prendono spunto da odio razziale tradiscono i nostri valori fondamentali e non possono essere tollerate”.