Ricordare Rita Atria come una memoria viva. Sono queste le parole di Don Luigi Ciotti, durante la ricorrenza del venticinquesimo anno dalla morte della Picciridda. Una celebrazione modesta, umile, celebratasi nel piccolo cimitero di Partanna, in cui riposa la giovane partannese, spoglia di orpelli ma ricca di quel senso di responsabilità e voglia di giustizia nel segno della sua memoria. Presenti il Prefetto, il Questore, il Colonnello dei Carabinieri, il Sindaco di Partanna, il Parroco locale, i ragazzi dei campi Estate Liberi e tanti amici che non hanno mai dimenticato il suo sacrificio.
La giovane Rita è stata una testimone di giustizia che si tolse la vita a 17 anni (il 26 luglio del 1992), appena una settimana dopo la strage di via D’Amelio, nel suo appartamento a Roma dove viveva in segreto. Lei una scelta l’aveva fatta, aveva deciso da che parte stare. Aveva iniziato a collaborare con la giustizia proprio per la fiducia che riponeva nel magistrato italiano Paolo Borsellino, perdendo poi ogni speranza alla sua morte. Quel 19 luglio, infatti, in via d’Amelio non si possono solamente considerare sei vittime, ma sette. Perché Rita Atria, la picciridda, ha cominciato a morire proprio a partire da quel 19 di Luglio.
Il coraggio di Rita deve far riflettere in tanti. Dopo aver perso per mano mafiosa, il padre e il fratello, anche loro appartenenti a cosa nostra, decide di collaborare con la giustizia insieme alla cognata Piera Aiello. Stimolata da un sete di vendetta, matura nel tempo grazie all’aiuto di Paolo un forte sentimento di giustizia. Le sue testimonianze, e quelle della cognata, hanno permesso l’arresto di numerosi mafiosi di Partanna, Marsala e Sciacca, avviando anche delle indagini su delle possibili collusioni tra mafia e politica locale.
Oggi Rita – spiega Don Ciotti – non dobbiamo viverla morta, ma dobbiamo viverla viva. Una memoria viva! Mi fa piacere che sulla tomba di Rita oggi ci sia inciso il suo nome, perché molti di noi che in questi anni sono venuti qui, sia nei momenti collettivi o di solitudine, per pregare o riflettere, per tanti anni quel nome sulla tomba non l’hanno trovato. Dobbiamo fare in modo che la nostra Rita viva attraverso il nostro impegno, attraverso la nostra assunzione di responsabilità fatta di concretezza. Le parole sono stanche, ormai piene di celebrazioni o eventi, noi non abbiamo bisogno di questo ma di una memoria viva.