C’è un titolo di Pier Paolo Pasolini che meglio di altri descrive la triste e disperata parabola Pino “la rana” Pelosi ed è “Una vita violenta”.
Perché Pino, che secondo ricostruzioni ufficiali e una sentenza passata in giudicato sarebbe stato l’assassino materiale del poeta, scrittore e regista di origini friulane, altro non era, in fondo, che un “ragazzo di vita”, uno dei protagonisti delle opere pasoliniane, un povero cristo nonché la vittima sacrificale di un gioco molto più grande di lui.
I maligni sospettano che Pasolini sia stato eliminato perché, di fatto, stava per rivelare al Paese l’esistenza della P2 e le sue tentacolari connessioni, la Fallaci riteneva che fossero stati i fascisti e a mio giudizio le due ipotesi, per quanto difficili da verificare, non è detto che non siano correlate.
Pino Pelosi, invece, era solo un diciassette con cattive frequentazioni, un destino segnato, prospettive di vita scarse o nulle, un’emarginazione che faceva il resto e l’ambizione di emanciparsi attraverso atti di piccola criminalità, nella speranza di riuscire così a darsi un tono e a costruirsi una sua assurda e folle rispettabilità.
Se n’è andato a soli cinquantanove anni, sconfitto da un tumore ai polmoni, fra misteri e non detti, al termine di un’esistenza sbagliata, costellata dal dolore e dalla sofferenza, dalla miseria morale e dallo sfruttamento, coprendo, forse addirittura involontariamente, i mandanti della mattanza che si consumò all’Idroscalo di Ostia ai danni di un intellettuale scomodo e per questo inviso a tutti i poteri forti e le congreghe politiche.
Ci lascia un protagonista pasoliniano di questo grande dramma che è lo snodarsi della nostra vicenda nazionale, portando con sé ciò che sapeva e un domani, chissà, avrebbe potuto rivelare e venendo sopraffatto, secondo me, dai mille interrogativi di un uomo travolto da un intreccio di interessi che probabilmente non era nemmeno in grado di capire.
Fascismo, eversione, servizi segreti deviati, la Banda della Magliana, giù fino agli intrecci giudiziari recenti e alle condanne odierne: mille nodi inestricabili e mille responsabilità senza nome e senza volto si dipanano davanti ai nostri occhi, inghiottendo nella propria barbarie un uomo la cui unica colpa è stata quella di essere destinato a fallire, a perdersi, a morire precocemente e ad essere presto consegnato all’oblio e all’ignominia.
Addio Pino, al netto dei tuoi tanti errori e delle tue tante, troppe verità negate.