Cuore pulsante della Capitale. A pochi km dalla stazione Tiburtina, sorge un’aria industriale dismessa, un ex officina per la manutenzione treni notte, sospesa in una sorta di limbo spazio temporale dove però, da un po’ di anni a questa parte, si sta sperimentando un modo diverso di vivere la città e il lavoro. Stiamo parlando di uno spazio che si è fatto conoscere con il nome di Officine Zero e che, negli intenti di chi lo vive quotidianamente e lo progetta da anni, vuole rappresentare un nuovo punto di partenza, un punto zero, appunto, per immaginare in maniera differente, modi e rapporti di produzione, interazione fra lavoratori con competenze diverse e fra i lavoratori stessi con gli spazi e i tempi del lavoro. Si potrebbero azzardare le definizioni, ormai consolidate, di economia circolare e collaborativa, loro preferiscono la formula semplice e intuitiva di “rigenerazione urbana e del lavoro”.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. La ex officine RSI vengono acquistate dal gruppo Barletta nel 2008, dopo pochi anni la società va fallita, i lavoratori vengono messi in cassa integrazione e tanti saluti a tutti.
Peccato che, contrariamente alle aspettative un gruppo cospicuo di quei lavoratori non si arrenda facilmente e, supportato da alcuni spazi sociali della città di Roma, decida di mettere in atto un’occupazione dello spazio per rivendicare i propri diritti, in primis quello al lavoro. Parte da qui, da questo primo nucleo originario l’ipotesi: e se invece di chiedere altri spazi lavorativi questo stesso spazio potesse continuare a funzionare ma in maniera diversa? Se i macchinari e i laboratori presenti venissero riattivati contando sulle energie e sulla spinta propulsiva dell’autorganizzazione del lavoro nonché sul modello di tante altre fabbriche recuperate?
La sfida non era di certo semplice, ma nel giro di quattro anni è la realtà di questo spazio disteso su circa 20.000 mq di superficie. Al suo interno oggi convivono in armonia lavoratori autonomi che svolgono varie mansioni nel campo del cosiddetto settore immateriale e occupano gli spazi di coworking ( ex uffici amministrativi), artigiani specializzati in vari tipi di lavorazioni ( ferro, tappezzeria, legno) e che utilizzano soprattutto materiali di scarto e di riciclo, artisti, fotografi, designers, associazioni e molto altro ancora.
Tutti impegnati nei termini della progettazione condivisa, che vive di momenti assembleari e si nutre delle sinergie che possono nascere tra persone aventi competenze diverse. Una Multifactory a tutti gi effetti, che, con si suoi 40 pioppi e le aiuole è anche un piccolo polmone verde per il quartiere di Casalbertone. Perché anche il verde ha un ruolo fondamentale ed occupa uno spazio tutto suo all’interno della più ampia progettazione di OZ che punta a diventare un luogo sempre più fruibile e attraversabile dai cittadini del quadrante.
Al momento sono all’incirca 50 le persone, che, a vario titolo, lavorano all’interno dello spazio di Officine, un numero che, in prospettiva, è destinato ad aumentare.
Ma le cose non sono mai semplici e mai lineari come possono sembrare a primo acchito. Sullo spazio delle ex officine pende impietosa la mannaia dell’asta fallimentare che dovrebbe scattare a breve. Data fissata per il 28 di luglio. La vendita significherebbe ovviamente la fine del progetto e l’ombra inquietante dell’ennesima speculazione edilizia su un pezzo di città così faticosamente difeso e tutelato dall’incuria negli ultimi quattro anni.
Per scongiurare questa infausta possibilità, gli occupanti di OZ hanno da tempo approntato delle contromosse: “ Lo scorso aprile – scrivono su un comunicato diramato in questi giorni- Officine Zero ha incontrato il Comune di Roma ed il Municipio IV per presentare la richiesta di un tavolo tecnico e avviare un percorso di riconoscimento dell’utilità pubblica del progetto, che serva in particolar modo ad evitare che anche questi ultimi 20mila metri quadri di CasalBertone/Portonaccio diventino preda della speculazione, rimanendo invece luogo di lavoro e servizi fruibili dalla popolazione del quadrante.” Eppure dalle istituzioni ancora nessuna risposta concreta sembra essere arrivata. Il tempo stringe, inizia il conto alla rovescia e da qui l’appello rivolto in primis agli enti già interpellati perchè: “… In gioco non c’è solo l’esperimento OZ, ma una visione diversa della città, delle sue prospettive urbanistiche e degli interessi che si vogliono far prevalere politicamente: quelli del territorio o quelli della rendita immobiliare.”
http://www.ozofficinezero.org/