Anche questa settimana centinaia di vittime e migliaia di vite salvate che sbarcano sulle nostre spiagge. Immagini che si ripropongono uguali da mesi, anzi da anni. Che fare per aiutare la gente a non assuefarsi alla quotidiana conta dei morti nel Mediterraneo? Bisognerebbe, io credo, che i giornalisti si educassero a dare a queste notizie un’identità, aggiungendo al rituale cronistico degli sbarchi e delle reazioni ufficiali o popolari di vario tipo il racconto delle drammatiche situazioni che hanno preceduto l’avventura disperata di quelle famiglie. Descrivendo sulle prime pagine e nei servizi dei telegiornali la vita che si conduce oggi nei villaggi e nelle città dai quali provengono. Indagando sui motivi ambientali, politici ed economici che li hanno costretti alla fuga. Storie che risulteranno assai diverse probabilmente l’una dall’altra. Non potranno essere riassunte sbrigativamente, come ha fatto Macron, in migrazioni da paesi in guerra o per motivi economici. E raccontarle non solo nei testi ma anche nei titoli e nei sottotitoli, nei sommari dei Tg. Perché non basta suscitare episodicamente la pubblica commozione con i particolari di un corpicino trovato riverso sulla spiaggia. Se vogliamo davvero combattere il razzismo e il populismo di casa nostra, è oggi più che mai necessario dare alle menti e alle coscienze dei lettori l’opportunità di misurarsi e identificarsi con vicende umane e storiche che – ben lo sappiamo – spesso non sono affatto indipendenti dalla nostra responsabilità di cittadini e popoli europei. E così fare intendere ai tifosi di Macron che libertà uguaglianza fraternità sono una parola sola.