[Traduzione a cura di Carolina Carta dall’articolo originale di Aidan McQuade pubblicato su openDemocracy. Aidan McQuade è il direttore di Anti-Slavery International.]
L’organizzazione Anti-Slavery International è stata creata per porre fine alla schiavitù e per questo l’Anti-Slavery Charter che pubblichiamo oggi tocca l’essenza di tutto quello che facciamo.
La schiavitù è una questione politica: ha a che fare essenzialmente con il potere, o, più precisamente, con l’esclusione dal potere di determinati gruppi di persone che vengono così rese schiave.
È talvolta il risultato del cataclisma generato dai conflitti armati, come dimostrano le tragiche esperienze del Sudan, della Siria e della Nigeria. Ma la schiavitù esiste anche a causa delle nostre scelte, come alcune leggi nazionali e internazionali, di politiche e di misure legate allo sviluppo, all’occupazione, al commercio e alle imprese. Le condizioni create da questi sistemi creano terreno fertile per la schiavitù.
Prendiamo in considerazione, ad esempio, i casi di donne sfruttate come collaboratrici domestiche nel Regno Unito, risultato di permessi di soggiorno legati a datori di lavoro senza scrupoli. In altre parole, le norme riguardanti il visto nel Regno Unito agevolano direttamente una modalità estrema di asservimento.
Offrono un valido esempio anche Stati come il Qatar, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita: ai rigidi criteri per il visto, che facilitano lo sfruttamento, si aggiungono restrizioni ai sindacati che impediscono loro di battersi per il diritto a un lavoro rispettabile – in cui sono coinvolte decine di migliaia di persone nell’Asia meridionale – nell’ambito dello sfruttamento del lavoro domestico.