La Turchia, a un anno dal fallito colpo di Stato del 15 luglio del 2016, si è trasformata nella più grande prigione per giornalisti. Sono oltre 160 i colleghi incarcerati con capi di imputazione che vanno dallo spionaggio al terrorismo, accuse che potrebbero costare l’ergastolo a molti di loro.
Tra questi i 17 colleghi di Cumhuriyet , il più importante quotidiano turco di opposizione, per i quali il 24 luglio inizierà il processo. Sarà la loro prima volta in tribunale per difendersi dopo aver già scontato oltre nove mesi di carcere.
In occasione dell’avvio del dibattimento, che dovrebbe concludersi entro il 28 luglio, ciò che è rimasto della redazione ha rivolto un appello alla stampa libera, italiana ed europea, a raccontare la loro storia e a sostenere la loro battaglia per la libertà di espressione, dei media e dello stato di diritto in questo drammatico momento per la Turchia, per l’informazione e per la magistratura turchi.
“Noi, giornalisti e avvocati di Cumhuriyet che ancora non siamo stati arrestati, vogliamo dimostrare che siamo contrari a questa ingiustizia e che i nostri colleghi non sono soli o dimenticati” scrivono in una lettera che mi è arrivata attraverso Leyla Tavi, ricercatrice del dipartimento Studi europei all’Università Roma 3, amica della moglie del direttore Murat Sabuncu – Per questo vi chiediamo di unirvi a noi in segno di solidarietà il prossimo 24 luglio, consapevoli, colleghi, che avervi dalla nostra parte ci darà forza”.
Sia noi di Articolo 21 che lz Federazione nazionale della Stampa abbiamo raccolto l’appello firmato da Orhan Erinç, caporedattore di Cumhuriyet, e rilanciato a tutti l’invito a mobilitarsi.
Nessuno di noi, giornalista, attivista o sostenitore della libertà di informazione che sia, non può rimanere indifferente a questa richiesta di aiuto.
Pertanto il 24 luglio, data in cui si celebra per una beffarda coincidenza la Giornata nazionale della stampa in Turchia, che ricorda il giorno in cui nel 1908 venne abolita la censura, siamo tutti chiamati alla mobilitazione per rilanciare sui social la campagna #NoBavaglioTurco.
Nei confronti dei colleghi di Cumhuriyet, e di tutti gli altri operatori dell’informazione in carcere, è in atto una vera e propria persecuzione giudiziaria.
Cumhuriyet, nome della testata più longeva della Turchia, significa “Repubblica”. Dal 1924, il giornale è sopravvissuto a cinque colpi di stato e ha continuato a pubblicare notizie e inchieste scomode anche sotto i regimi militari.
Già in passato molti dei suoi giornalisti sono stati imprigionati, tra cui l’ex direttore Can Dundar, torturati o sono stati vittima di assassini politici. Ma mai come prima d’ora era stata attuata una repressione diretta a “eliminare completamente” Cumhuriyet, come denuncia Erinç nella lettera aperta inviata anche alle organizzazioni per i diritti umani.
Dal tentativo di colpo di stato dello scorso 15 luglio, circa 5mila tra magistrati e giudici sono stati arrestati o licenziati con l’accusa di essere “membri di Feto”. Tra questi il procuratore che aveva il compito di indagare sul quotidiano Cumhuriyet per i presunti collegamenti con l’organizzazione di Fethullah Gulen, ritenuto l’ideatore del fallito golpe, accusato lui stesso di sostenere Gulen e per questo rischia due ergastoli.
Il teorema accusatorio del processo a carico dei 17 lavoratori di Cumhuriyet, tra editorialisti, corrispondenti, amministratori e avvocati, è basato sui rilievi mossi alla linea editoriale del giornale e del suo personale. Nell’atto di accusa di 300 pagine la parola più ricorrente è “news”, utilizzata 662 volte. Di legami terroristici non c’è traccia.
Nessuna prova è stata raccolta dall’inizio delle indagini, nell’agosto 2016, fino al momento degli arresti tre mesi dopo, a novembre. Non una singola prova, a parte editoriali e articoli, che colleghi i dipendenti di Cumhuriyet ad azioni di terrorismo o qualsiasi altro crimine. Nonostante questo, tutte le richieste di scarcerazione avanzate dai difensori degli imputati sono state respinte.
Anche l’appello rivolto alla Corte Costituzionale è stato vano: finora non si è pronunciata su nessun caso relativo al tentativo di colpo di stato. Attualmente sono 100.000 quelli pendenti. Quello in atto nei confronti del giornale di opposizione più antico del Paese è un chiaro attacco politico destinato a zittire una delle poche voci democratiche turche.
E come scrive Erinç, “consentire che questo accada sarebbe l’ultimo colpo alla libertà di parola e di stampa”. Un colpo che nei fatti le ridurrebbe al silenzio con grave danno per la democrazia in Turchia.
Un’azione da regime, come il tentativo del presidente Recep Tayyip Erdogan di abbattere la secolare storia repubblicana turca.
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