Siglato stamattina il protocollo tra il ministero di via Arenula e l’Uici per promuovere lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità da parte di persone in messa alla prova. Lucia Castellano: “Il contatto con le fasce più deboli ha una doppia valenza. Ora bisogna diffondere l’offerta su tutto il territorio nazionale”
ROMA – Detenuti impegnati con i lavori di pubblica utilità nelle sedi dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici), per risarcire la comunità del danno causato dalla propria condotta e come forma di prevenzione della recidiva. E’ stato firmato questa mattina dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e dal Presidente nazionale Uici, Mario Barbuto, alla presenza del sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, il protocollo d’intesa “che promuove la stipula di convenzioni per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità da parte di detenuti maggiorenni ai fini della loro messa alla prova”.
Con il documento, sottoscritto nella sede di via Arenula, il Ministero, attraverso il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, e l’Unione italiana ciechi e ipovedenti si impegnano a promuovere convenzioni per “rendere effettiva la funzione riparativa prevista nella messa alla prova” e “favorire nell’imputato la consapevolezza delle responsabilità conseguenti alla propria condotta e l’assunzione di comportamenti orientati a una corretta partecipazione alla vita sociale, come forma di prevenzione della recidiva e di garanzia della sicurezza sociale”.
Sono circa 9 mila le persone che in Italia stanno usufruendo della messa alla prova, mentre altre 13 mila ne hanno fatto richiesta e stanno aspettando il lavoro che offra loro una possibilità.
Tra i compiti della direzione generale per l’esecuzione penale esterna del Dipartimento, proprio la creazione di una fitta rete di contatti e collaborazioni per diffondere su tutto il territorio nazionale le misure alternative al carcere.
“Con la firma di oggi – ha spiegato il ministro Andrea Orlando – si afferma il principio secondo il quale l’esecuzione della pena non deve solo essere un momento di riabilitazione, ma anche un modo per restituire alla società ciò che le è stato tolto con la violazione della legge. L’idea che chi ha sbagliato possa aiutare chi si trova in difficoltà rappresenta un messaggio di grande forza. Purtroppo, viviamo in una fase storica in cui si crede sempre meno in questa possibilità, convinti che ognuno debba affrontare le proprie difficoltà in modo frammentato e che la condanna sia uno stigma che non può essere cancellato”.
“Colpiscono – commenta Lucia Castellano, dirigente generale per l’Esecuzione penale esterna del Dgmc – le parole del Ministro sulla contaminazione tra le persone disabili e chi ha commesso un reato. In questo senso la parte risarcitoria del patto sociale è enfatizzata perché non solo si va a ricucire, come per tutti i lavori di pubblica utilità, ma lo si fa con fasce deboli della popolazione, con persone che hanno problemi e disabilità e, per questo, l’azione ha una doppia valenza. Da pare nostra c’è tutto l’impegno a far sì che il protocollo si diffonda sull’intero territorio e non resti sulla carta. La mia direzione generale monitorerà il concretizzarsi di queste ottime misure, con l’auspicio che possano coinvolgere anche altri settori. Il nostro compito è proprio quello di gettare un seme che poi dia i suoi frutti nelle articolazioni territoriali.
Non è l’unico protocollo perché ne abbiamo già stipulato, ad esempio, uno con Libera per la messa alla prova, e ne stipuleremo altri. Ma il fatto che abbiamo iniziato da qui, è un valore aggiunto. Il nostro intendimento è impiantare convenzioni a livello centrale per poi, a cascata, andare sul locale, con un obiettivo molto concreto: rendere omogenea questa misura sul territorio nazionale. E’ del tutto evidente che ci sono realtà dove è più applicata e realtà dove è quasi assente. Per questo la nostra azione da Roma vuole essere pervasiva su tutto il territorio nazionale”.
In base al protocollo, gli uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) favoriranno i contatti tra le sedi territoriali dell’Uici e i Tribunali ordinari competenti. “La struttura dell’Unione presso cui si svolgerà il lavoro di pubblica utilità, valutata la validità dell’apporto del detenuto alle attività svolte dall’associazione, rilascerà la dichiarazione di disponibilità, revocabile in presenza di situazioni di inadeguatezza allo svolgimento dell’incarico”.
L’Uici, tramite le proprie Sezioni territoriali, “si impegna a individuare il numero massimo di posti disponibili presso le sedi, specificare le mansioni cui potranno essere adibite le persone che presteranno lavoro di pubblica utilità e a indicare i nominativi dei referenti, incaricati di coordinare la prestazione lavorativa degli imputati, di impartire le relative istruzioni e rapportarsi con l’Ufficio Epe per rappresentare l’andamento della prova, anche al fine di segnalare eventuali inosservanze degli obblighi”. Mentre il Dipartimento, tramite gli Uepe, si impegna a “fornire le informazioni necessarie alla piena comprensione delle modalità di esecuzione dell’istituto della messa alla prova per gli adulti e dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità presso le sedi indicate. E a supportare le Sezioni territoriali, individuando un funzionario dell’ufficio che interagisca per assicurare il buon andamento della prova”.
“Questo protocollo è motivo di grande orgoglio per l’Unione, che diventa parte attiva nel processo di rieducazione e reinserimento sociale dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria – ha detto Mario Barbuto, presidente nazionale Uici -. Il tema dell’integrazione e dell’inclusione di tutti i cittadini ciechi e ipovedenti nella società civile ci sta particolarmente a cuore; anzi, è l’elemento fondante del nostro lavoro. Così come la comunità ha il dovere di garantire alle persone con disabilità visiva di poter condurre una vita sociale a qualsiasi livello, è necessario promuovere anche il coinvolgimento dei cittadini in azioni di sostegno agli autori di reato. Sono lieto di poter dare l’avvio a questa attività che favorisce sia il risarcimento alla società del danno procurato da parte del reo, ma anche il suo processo di rieducazione, attitudine essenziale di una società civile”. (Teresa Valiani)