Sono incappato in questa esperienza dopo una dismissione frettolosa, in seguito ai postumi operatori che fan parte della mia storia precedente sulla sanità romana.
Ho evitato personalismi irrilevanti, concentrandomi su quello che ho visto e sentito tale notte.
Pronto Soccorso di S.Camillo, quartiere Gianicolense, Roma ore 00.15
Un vignettista cinico “Charlie Hebdo style”, si sbizzarrirebbe illustrando il girone dantesco all’interno del minuscolo Pronto Soccorso di S. Camillo, che di notte si eleva al top.
I dannati sono perlopiù anziani, molti dei quali trascurati dalle famiglie, che l’inverno rigido e l’estate asfissiante falcidia con patologie e crisi sovente fatali.
Non è un mistero difatti, che gennaio/febbraio e luglio/agosto siano i mesi peggiori che i sanitari devono affrontare a livello emergenze.
Una volta ammessi, la sala operativa si presenta come una stanza di circa 60 mq. e una ventina di barelle accatastate alla rinfusa, tranne quelle dei casi più gravi, allineate accanto a defibrillatori e monitor; come al solito c’è overbooking, e il nervosismo degli infermieri è tangibile. Lamenti e urla, causati dal disagio fisico dell’incontinenza, e dal terrore dell’abbandono, saturano l’ambiente. Gli operatori si muovono senza prestar ascolto ai continui richiami, colonna sonora della loro routine quotidiana.
Una vecchietta scheletrica, ripete come un mantra: “Dottoreee! Infermieree!”
Acuti così prolungati, da escludere le corde vocali dalle sue possibili patologie.
Il tempo è scandito dai suoi appelli nel vuoto, che replicano ogni due minuti, e dai beep delle macchine per il monitoraggio cardiaco. La sporcizia sul pavimento, causa assenza notturna del personale di pulizia, si accumula causando un ingombro extra al passaggio dei sanitari.
I tempi di attesa dipendono ovviamente dalla gravità dei casi, ecografie ed esami del sangue sono però svolti celermente. La carenza-chiave è nello staff operativo: pochi infermieri, un solo medico di turno, oberato dal sonno arretrato e dal superlavoro.
Ciò avviene mentre la vice-primario di cardiologia è in visita; una sfinge impassibile, si trattiene per ore, ma non la vedo mai avvicinarsi a un paziente, e tanto meno rivolgere loro una parola. Lo spazio è talmente ristretto, che sono dirottato nella stanza accanto, buia e ingombra di mobilia.
Nel primo mattino, una Jaguar nuova di pacca, irrompe nel parcheggio ambulanze; ne scendono 3 energumeni, che trascinano una ragazza gonfia di lividi e tagli; prepotentemente, cercano di entrare scavalcando la sala d’attesa; la sicurezza, spalleggiata da alcuni visitatori, si oppone due volte all’assalto, e il gruppetto alla fine si ritira.
Ora che S. Camillo e Forlanini sono accorpati, balordi e lupi della notte costituiscono una minaccia costante, mentre prima almeno dividevano le loro performances tra i due nosocomi.
Conclusioni
Lo spazio e le condizioni igieniche in cui sono costretti a convivere pazienti e sanitari, costituiscono l’aspetto più vergognoso del Pronto Soccorso S. Camillo, specie a confronto con quello ultra-tech del Gemelli, icona della sanità vaticana.
Si tratta comunque di un ospedale di primaria importanza, nel centro della capitale.
Malgrado ciò, quella notte due anziani sono stati salvati, prendendoli per i capelli.
La perizia degli operatori non si discute, e il loro lavoro encomiabile.
A volte però, basterebbe stringere una mano e pronunciare qualche parola di conforto, per diminuire dolore e terrore. L’umanità, solita grande assente nella sofferenza urbana, non è, o non dovrebbe essere, un optional.