La ripresa del dialogo tra Cuba e Stati Uniti, voluta fortemente da Obama, anche se smentita da Trump, ha ufficializzato comunque il cambio di orientamento della politica americana, alla quale fa gola l’enorme potenziale che l’isola offre. Gli echi di questa nuova tendenza sono però lontani dai territori del Sud, l’oriente cubano, una cartolina d’epoca ingiallita dal tempo. Eppure, qualcosa si muove anche quaggiù.
La macchina del tempo
(da Santiago) – Se l’Havana concentra su di sé la maggior parte degli investimenti esteri, con i cinesi che hanno triplicato i voli d’affari, l’Oriente rimane com’era prima del Nuovo Millennio; anzi, a giudicare dai veicoli, come negli anni ’50 ante rivoluzione: le gloriose Oldsmobile, Ford, Plymouth, miracolosamente circolano ancora, con i pezzi di ricambio auto-costruiti dagli ingegnosi proprietari. Benzina a 83 ottani, la stessa dei mezzi agricoli, l’unica a un prezzo modico, 0,80 CUC al lt. (il peso convertibile, equivale a 25 di moneda nacional e a 1,10 dollari) La 90 solo per le auto riservate a turisti e burocrati. Anche la polizia si muove a bordo di vetuste Lada russe, residuo della vecchia alleanza. Per il resto, i trasporti pubblici sono affidati a calessi trainati da cavalli, asfittici guaguas, i classici autobus cubani dai pestilenziali fumi di scarico e, nelle zone rurali, trattori e camion. Secondo lo stesso Granma, il foglio edito dal Partito Comunista cubano, il cancro al polmone è la prima causa delle morti per tumore a Cuba dal 2012. I fattori scatenanti vanno condivisi tra i fumi degli obsoleti veicoli che oltre a benzina scadente riutilizzano anche gli olii esausti, e il fumo vero e proprio; il consumo di tabacco a Cuba è ai vertici della classifica caraibica a riguardo. Allo stato attuale, sono in corso negli Stati Uniti, da parte della FDA, i test sul Cimavax, il vaccino cubano sperimentale contro tale tumore, che dureranno tre anni. E’ giusto ricordare, tra i primati positivi, che il tasso di AIDS a Cuba è il più basso di tutto il continente americano. Oltre allo screening continuo, il costo quasi zero dei preservativi: un peso di moneda nacional per un pacchetto da 3 pezzi; 0.04 euro.
Guantanamo, mito e realtà
Il viaggio alla volta della baia di Guantanamo, lungo l’autopista che si dirama poi in sentieri di campagna, consolida la sensazione di essere in un’altra epoca. A La Maya, centro agricolo di 100.000 abitanti, notiamo soprattutto carretti-taxi, con cavalli che trainano una decina di occupanti, e trattori con rimorchi pieni zeppi di campesinos, oltre alle immancabili Lada. Passiamo per El Salvador e Jamaica, paesini abitati in maggior parte da cubani neri; alla periferia di Guantanamo, casermoni di condomini in stile sovietico usurati dal tempo, costeggiano la carretera che si dirige verso la baia, sede della base navale USA, con il famigerato centro di detenzione speciale per terroristi, che Obama voleva chiudere, ma Trump sembra intenzionato a mantenere.
Sulla cartina, la base è indicata come “territorio occupato illegalmente da E.U.A.“(Estados Unidos de America) ma la storia di questo sito conteso, risale al 1903. L’allora presidente americano Theodore Roosevelt firmò un trattato con il primo presidente della repubblica cubana, Estrada Palma, che concedeva agli Stati Uniti l’uso perpetuo dello spazio occupato, previo pagamento di un affitto annuo. Dopo la salita al potere di Castro, l’accordo fu dichiarato illegale, ma i militari rimasero. I due governi mantengono però un patto: se eventuali fuggitivi cercassero rifugio nella base, dovrebbero essere immediatamente estradati. In cambio, evasi dalla prigione militare, andrebbero restituiti agli occupanti.
Cuba vieta l’accesso alle acque territoriali per rifornire i gruppi elettrogeni e i soldati. Ai fini di ovviare il problema, gli americani importano acqua dalla Giamaica, che trattano tramite impianti di desalinizzazione auto-costruiti. La Giamaica ha un accordo militare che risale ai primi anni 80, tra l’allora Premier Edward Seaga e Ronald Reagan.
In virtù di questo, Jamaica Defence Force, l’esercito giamaicano, ha fornito truppe sia per l’invasione di Grenada, che la successiva di Panama con Bush. Un check-point cubano, sbarra l’accesso alla strada che porta alla base. Un militare mi sequestra le foto scattate all’ingresso, chiedendomi gentilmente di cancellarle. I tempi stanno cambiando a livello sanzioni; nel 1994 fui fermato e trattenuto per ore, solo per aver fotografato i mezzi di trasporto civile.
Cambiamenti a fari spenti
Negli ultimi anni, il regime ha deciso di aprire alla piccola imprenditoria privata. Non tanto per le timide pressioni esterne su diritti umani e libero mercato, bensì dopo essersi ritrovato sull’orlo della bancarotta, causa decenni di ruberie e sperperi perpetrati dalla sua nomenklatura, irreggimentata in corporazioni lacerate da perenni lotte intestine, ai fini di accaparrarsi la grande torta del turismo. Di conseguenza, l’impossibilità di garantire a ogni dipendente la libreta de racionamento, che concede ai cubani le scarse razioni basiche di cibo gratuito. Lo stipendio di un cameriere e di un impiegato, si aggira ancora oggi intorno ai 25/30 CUC mensili. E’ vero che ora si trova più comida rispetto a una volta, e si mangia per strada a prezzi irrisori, la spesa è però cara al mercato agropecuario.
La capacità dei cubani di ottimizzare il cibo in razioni minime, abbassa i prezzi al dettaglio del prodotto lavorato. Senza la libreta, con quei salari, la vita sarebbe durissima, e il fatto che oggi siano oltre mezzo milione i piccoli imprenditori, e continuino ad aumentare, appare un percorso irreversibile. Così è nata la figura del cuentapropista, una sorta di self-employed libero da vincoli statali. Barbieri, artigiani, meccanici che già operavano in proprio illegalmente, hanno la chance di farlo alla luce del sole. Sono 550.000 circa, una cifra che ricalca l’oltre mezzo milione d’impiegati statali messi alla porta su due piedi. Nonostante le tasse che ora si trovano a pagare, e la scarsità delle materie prime, costoro muovono i primi passi verso la libera professione, seppure a stento.
E soprattutto, hanno la possibilità di riscattare la casa dove abitano, la cui proprietà era statale. A un prezzo ben lontano dalle cifre stellari del mondo “libero” se si considera uno stabile di tre piani a Santiago centro città pagato 18.000 euro. Con bollette di luce e acqua che cumulano a 600 pesos nacional circa 6 euro mensili. Nella capitale le cifre sono molto più alte, serve l’aiuto esterno. Molti arrendadores affittano le stanze delle loro case a prezzi modici, 25/35 CUC diari, a quella grossa fetta di turismo composta di coppie giovani e turisti single infoiati che cercano la privacy nelle case particular, laddove possano portare le belle cubane, alle quali gli alberghi statali vietano l’accesso. E questa minoranza, un po’ di soldi li fa; anche perché il nero è possibile, registrando meno notti sul libro mastro.
Considerazioni
La sparata di Donald Trump al cospetto della diaspora anticastrista di Miami, con la sua plateale firma contro l’accordo di Obama, non deve trarre in inganno. Il processo di riavvicinamento tra le due nazioni è inevitabile, specie se gli Stati Uniti non vogliono perdere la corsa al controllo delle risorse e degli investimenti che contendono alla Cina, la quale si è già insediata con successo in Brasile, Ecuador e Giamaica, e ha moltiplicato i voli sull’Avana per turismo e affari. Però quando si scrive su Cuba, si tende ad assumere posizioni manichee, pro o contro il castrismo, mentre in realtà ci troviamo in un’isola che procede a macchie di leopardo. Il divario di condizioni economiche e opportunità che esiste tra l’Avana e l’Oriente, dovrebbe invece fa riflettere sull’errore di generalizzare, considerando anche che il grosso del turismo internazionale, continua a muoversi tra la capitale, Varadero e Trinidad, lasciando a città storiche come Santiago e Baracoa, porzioni magre dell’enorme cash-flow annuale, 4 milioni gli arrivi nel 2016.
Ciò comporta che, anche a causa delle distanze logistiche vere e proprie, il Sud rimanga indietro; ciò ha indubbiamente aspetti positivi. In primis, il fatto che quaggiù la globalizzazione non abbia attecchito; le grosse catene alberghiere se ne tengono lontane, favorendo così i privati volenterosi che offrono un servizio più casareccio e alla portata di tutte le tasche. D’altro canto, aldilà di costoro, e dei ciuli, i magnaccia che controllano quasi tutta la prostituzione di Santiago, la condizione obsoleta dei trasporti e dei mezzi di produzione, se appare romantica agli occhi del visitatore, penalizza viceversa tutti quelli che non hanno agganci con il turismo, leciti o illeciti che siano.
La campagna appare desolata, oltre alla solita canna da zucchero e il tabacco; i contadini sfruttano quello che riescono a tirar fuori dalla terra soprattutto per sopravvivere, e ciò che avanza va al mercato, ma languono abbondanza e varietà, e i prezzi al consumo ne soffrono. Se si vuole dare una chance anche agli altri, bisognerebbe investire proprio sull’agricoltura, riservando a essa una parte degli introiti turistici, per comprare nuovi macchinari e diversificare finalmente le due monocolture classiche, incentivando le bio-produzioni, e dando spazio alle cooperative indipendenti, libere finalmente dal giogo statale. Ne usufruirebbe la gente, e il prestigio del regime, la cui modernizzazione porterebbe solo consensi interni e internazionali, guadagnando ancora tempo per le inevitabili riforme sul piano dei diritti umani.
(articoli similari dell’autore sono stati pubblicati in precedenza su il Fatto Quotidiano 36° post.webloc 38° post.webloc Foto dell’autore)