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Beppe Chiarante e l’etica della politica

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Quando si parla di Beppe Chiarante, torna subito in mente la saggezza e il valore morale dei cattolici democratici che il PCI seppe accogliere e valorizzare grazie alla sua unicità nel panorama del comunismo internazionale.
Si parla di uno studioso e di un politico di rara intelligenza e umanità, capace di battersi sempre dalla parte degli ultimi e degli esclusi, di comprendere con lungimiranza la direzione verso cui stava andando il mondo e, spesso, di non accettarla e di combatterla con le armi della cultura e della buona politica.
Se ne è andato cinque anni fa, all’età di ottantatré anni, al termine di una vita intensa e spesa pressoché interamente in nome dei propri ideali e della propria concezione del mondo.
Già dossettiano e basista all’interno della DC, insieme a Galloni, Granelli e Marcora, in seguito ad un lungo percorso intellettuale, peraltro simile a quello compiuto da Fortebraccio, si avvicina al comunismo eretico, e potremmo dire quasi profetico, di Magri, divenendo successivamente direttore di Rinascita e di Critica marxista, rivista dell’ARS (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra) che contribuì a fondare e far decollare grazie al suo prestigio e alla sua straordinaria lucidità d’analisi.
Del periodo dossettiano ha portato con sé l’attenzione all’etica e ai temi sociali, un rispetto per le istituzioni oggi drammaticamente perduto, l’amore per il prossimo e la capacità di porre l’orecchio a terra, facendo della cosiddetta “maieutica dossettiana” una ragione di vita nonché la missione stessa del suo impegno politico.
Lo ricordiamo, a cinque anni dalla morte, negli stessi giorni in cui rendiamo omaggio allo storico presidente delle ACLI e del PPI Giovanni Bianchi, scomparso a sua volta troppo presto, a settantasette anni, lasciando un vuoto difficilmente colmabile in una sinistra mai come ora bisognosa di esempi, punti di riferimento e valori concreti su cui fondare la propria riscossa.
Abbracciamo idealmente due simboli di quel cattolicesimo adulto, ulivista e costruttivo che ha innervato una delle migliori stagioni riformiste che il nostro Paese abbia avuto la fortuna di vivere.
E in quest’addio, in questo ricordo, in questa straziante e fragile preghiera è racchiuso il rimpianto per due grandi uomini di pace, in grado, nel caso di Chiarante, di arrivare addirittura ad abbandonare il proprio partito in opposizione alla barbara guerra del Kosovo e all’onta che essa ha rappresentato per l’Italia.
Sarà dura portare avanti le loro battaglie e far nostro il loro esempio ma sappiamo anche che è l’unica possibilità che abbiamo per non sprofondare nella melma di un’epoca che ci saremmo tutti volentieri risparmiati.


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