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Yemen, continua il massacro di bambini nel silenzio del mondo

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Oltre mille bambini uccisi dai bombardamenti, quasi il doppio feriti o mutilati. Tutti gli altri sofferenti per malnutrizione e malattie che non lasciano scampo, come il colera. Questo macabro bilancio delle conseguenze sui minori della guerra civile in Yemen, a poco più di due anni dall’inizio, non lascia dubbi su chi stia pagando il conto peggiore del conflitto, che continua a restare in un cono d’ombra.

Ma è tutto il popolo yemenita a subire perdite continue e a vivere al limite della sopravvivenza, in un contesto sempre più instabile e senza prospettive di pace.

La comunità internazionale nulla riesce a fare per garantire la ripresa dei colloqui tra le parti e dopo l’attacco contro l’inviato dell’Onu nel paese, Ismail Ould Cheikh Ahmed, da parte di miliziani legati ai ribelli sciiti dell’imam Abdel Malik al Houthi a Sana’a, la possibilità di trovare una soluzione alla crisi appare sempre più lontana.

Anche in queste ore si susseguono violenti scontri a fuoco tra i soldati fedeli al governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e i seguaci di al Houthi.

Secondo l’emittente televisiva “al Jazeera”, le forze di Hadi hanno ripreso dopo un violento scontro con armi pesanti il controllo di un’ala del palazzo repubblicano di Taiz, a sud della capitale yemenita Sana’a. Colpi di mortaio hanno invece raggiunto i civili nella parte orientale di Taiz dove imperversano i miliziani di Houthi.

I colloqui di pace sullo Yemen in Kuwait, che il mediatore sperava di riavviare prima del Ramadan iniziato lo scorso 27 maggio, non avevano grandi speranze di ripresa.

Il tavolo di confronto, sotto l’egida delle Nazioni Unite, fra i delegati del governo yemenita e gli oppositori sciiti è stato più volte interrotto per poi arenarsi lo scorso aprile per la mancata presenza della delegazione dei ribelli, contingenza che ha portato i funzionari governativi ad abbandonare i negoziati.

I tentativi di porre fine al conflitto sono sempre falliti miseramente aggravando una crisi umanitaria sempre più vasta in uno dei paesi più poveri del mondo arabo. Ma l’impegno dell’Onu, nonostante il sostegno a fasi alterne dell’Arabia Saudita, che guida la coalizione militare contro l’opposizione sciita che controlla il nord dello Yemen e la capitale Sana’a, non è mai venuto meno.

Secondo le stime delle Nazioni Unite le persone rimaste uccise dall’inizio della campagna militare lanciata nel marzo 2015 sono oltre 10mila e lo scenario del conflitto appare sempre più complesso.

L’esercito fedele al presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dalla maggioranza dei paesi islamici sunniti, nel fronteggiare i ribelli legati all’Iran e agli apparati militari dello Yemen rimasti fedeli al presidente Ali Abdullah Salh, non ha esitato a colpire, più volte, i civili.

La situazione è complicata anche dalla presenza di gruppi islamisti, sia affiliati ad Al Qaida che all’Isis, i quali in alcuni casi hanno stretto alleanze con le tribù locali e le forze lealiste e ribelli rendendo difficile da valutare le condizioni e lo stato dell’arte sul terreno, soprattutto in funzione degli attacchi che ormai coinvolgono, sempre, la popolazione.

A completare il quadro yemenita, la presenza degli Stati Uniti, l’unico paese occidentale coinvolto nelle operazioni militari, in particolare con attività “mirate” con droni per abbattere obiettivi precisi di gruppi terroristici.

Ed è proprio l’utilizzo di aerei senza piloti che accresce il rischio di “danni collaterali”, ovvero vittime innocenti che si trovano nel raggio degli attacchi contro i terroristi. Il numero dei civili uccisi dal “fuoco amico”, o che tale dovrebbe essere almeno sulla carta, è in esponenziale aumento e visto l’intensificarsi del conflitto, non potrà che continuerà a crescere.


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