La capitale del Kurdistan della Turchia Diyarbakir messa in ginocchio dal dichiarato coprifuoco del 15 Giugno, che coinvolge 25 villaggi, da parte del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Non lascia respirare la morsa repressiva lanciata sulla popolazione curda. L’arma usata dal governo turco è letale, una morte lenta che sta diramando per tutto il Kurdistan turco fino a chiudersi stretta sulla capitale. Il coprifuoco impedisce alla popolazione di lasciare le proprie case, vietato uscire persino per prendere medicinali, cibo, acqua. Braccati dentro. Ai mezzi di pronto soccorso viene impedito di prestare assistenza immediata. Una popolazione sequestrata nella loro stessa terra, intrappolata tra le loro stesse mura. Cecchini delle forze armate turche sono appostati agli angoli delle strade pronti a sparare a chiunque provi a varcare la soglia di casa.
Scene già viste a Cizre, più volte, con il massacro di donne, uomini e bambini, uccisi appena provavano ad uscire dalla loro abitazione. Lasciati morire per strada, i corpi abbandonati anche per giorni.
Nei villaggi di Diyarbakir da tempo ormai sono stati interrotti i servizi di rete idrica ed elettricità. Senza acqua, luce, cibo e medicinali. Le case degli abitanti vengono centrate dall’artiglieria e crivellate di proiettili. La denuncia da fonti vicine alle zone sotto assedio: “Ci sono persone bruciate vive.” Una prigione a cielo aperto.
La Turchia, membro della NATO e del Consiglio d’Europa, continua a marchiarsi di crimini contro l’umanità dietro un macabro silenzio internazionale. Tace l’Unione Europea. Tace la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.