“L’Unione Europea faccia sentire la propria voce per la difesa della libertà di stampa in Turchia”. E’ questo l’appello lanciato nel corso di una conferenza stampa nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana dal segretario Raffaele Lorusso, reduce dalla prima udienza di uno dei processi a carico di giornalisti arrestati dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio scorso, e dal presidente della Fnsi Beppe Giulietti.
Lorusso ha annunciato che la Federazione chiederà al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, un incontro per sollecitare l’attenzione dell’Ue su questa situazione affinché compia azioni concrete a difesa della libertà di stampa.
In particolare il segretario generale della Fnsi, che ieri ha rappresentato l’International Federation of Journalists all’apertura del processo a Istanbul contro 17 persone, tra cui alcuni giornalisti come i fratelli Ahmet e Mehmet Altan, accusati di aver tentato di rovesciare il governo, sovvertire l’ordine costituzionale e aver fornito supporto ad un’organizzazione terroristica pur senza esserne membri.
Insieme ai fratelli Altan è alla sbarra nello stesso procedimento anche una delle veterane della stampa turca, Nasli Ilicak, 73 anni che nonostante problemi di salute continua a essere detenuta in carcere in condizioni non certo idonee al suo stato attuale. Per lei, gli Altan e gli altri imputati del processo è stata chiesta la condanna all’ergastolo.
«Gli allarmi ripetutamente lanciati dalla Federazione nazionale della stampa italiana sulla situazione turca non erano infondati. Oggi più che mai con l’inizio dei processi e le possibili condanne – ha sottolineato il presidente della Fnsi Giulietti – rende ancora più urgente la necessità che le autorità europee e i governi nazionali si mobilitino per fermare quella che ormai è una vera e propria repressione nei confronti di qualsiasi forma di dissenso nei confronti del governo Erdogan».
“La Turchia è un paese che sta scivolando lentamente verso la dittatura – ha aggiunto Lorusso – il problema non esiste solo per la stampa (sono oltre 150 i giornalisti finiti in prigione dal tentato golpe contro Erdogan l’anno scorso, ndr) ma per tutte le voci libere. Basti pensare che è detenuto anche un giudice, protagonisti di indagini sui crimini in ex Jugoslavia, che aveva l’immunità diplomatica”.
Per Riccardo Noury di Amnesty International Italia la Turchia “in questo momento è un’enorme prigione per i giornalisti. Il processo appena iniziato non sarebbe mai dovuto essere celebrato, quelli chiaramente sono prigionieri di coscienza. L’obiettivo di questi procedimenti che sono lunghissimi è far cadere tutto nell’oblio, per questo invece è importante continuare a parlarne”. Noury ricorda che la situazione in Turchia resta grave con oltre 100 mila dipendenti pubblici licenziati dopo il golpe. Anche il presidente di Amnesty International andrà a processo per terrorismo”.
Infine il segretario di Usigrai, Vittorio Di Trapani, ha rilanciato la richiesta di molti giornalisti turchi rivolta ai colleghi occidentali che vogliono sostentere la loro battaglia contro la repressione della libertà di informazione nel Paese: riprendete le nostre inchieste.
Noi di Articolo 21, che sin dal primo momento abbiamo sostenuto la campagna #nobavaglioturco, continueremo a illuminare quanto avviene in Turchia, anche e soprattutto ora che la crisi si sta cronicizzando è, come ha sottolineato Di Trapani, “è ancora più importante che si tengano le luci accese”.
Bisogna continuare a parlarne per sollecitare la nuova leadership europea ad avere più coraggio e fermezza nel chiedere il rispetto dei diritti in Turchia.
Oggi un primo segnale è arrivato con la richiesta del parlamento europeo del congelamento dei negoziati di adesione all’Ue in caso di adozione della riforma della Costituzione che darebbe al presidente Recep Tayyip Erdogan ulteriori poteri.
La commissione Affari esteri del parlamento ha esortato l’Ue e gli Stati membri a “sospendere formalmente i negoziati di adesione con la Turchia nei più brevi termini di tempo se la riforma costituzionale entra in vigore nella forma attuale”.
La riforma, approvata per via referendaria lo scorso 16 aprile, entrerà in vigore dopo le elezioni legislative e presidenziali previste nelnovembre 2019.
Tra le modifiche apportate, la cancellazione delle funzioni del premier a favore di un ‘superpresidente’ che potrà procedere per decreti e avrà ampia influenza anche sul potere giudiziario.
I deputati europei si sono detti “preoccupati per l’arretramento della Turchia in materia di Stato di diritto, di diritti umani, di libertà dei media e lotta alla corruzione” condannando, inoltre, il sostegno espresso a più riprese dal presidente turco a chi nel Paese chiede il ripristino della pena di morte.