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Socialfemminismo tra filosofia e inchiesta, dialoghi con Giametta e Carparelli

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L’associazione Meditenere e la libreria Marescritto, nel primo appuntamento della rassegna culturale Labirinti del Pensiero, organizzano presso la Chiesa dei diavoli un incontro tra Filosofia e Inchiesta. In occasione della presentazione del saggio “Socialfemminismo”, Stefano Santachiara dialoga con Sossio Giametta, autore nell’ultimo anno di “Il Dio lontano”, “I tre centauri” e “Introduzione a Nietzsche”. Modera l’incontro il filosofo Mario Carparelli, studioso di Giulio Cesare Vanini.

La crisi della nostra civiltà
Carparelli introduce alle grandi questioni che attraversano il decadimento morale e materiale dei pilastri dell’Occidente ricordando le gravi contraddizioni del capitalismo e della religione che si intrecciano nell’opera di Santachiara e nel pensiero di Giametta. Al massimo interprete di Friedrich Nietzsche, spesso indicato come colui che ha preannunciato con largo anticipo il tramonto della civiltà occidentale, Carparelli chiede di produrre una spiegazione filosofica e biologica della crisi. La risposta si dischiude a partire da tre citazioni. Giambattista Vico: “Gli uomini non possono conoscere la natura perché è fatta da Dio ma possono conoscere la storia perché è fatta dagli uomini”. Hegel: ”La filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri”. Goethe: “Ogni individuo è un organo del suo secolo che agisce per lo più inconsapevolmente”. Giametta assume gli ultimi due concetti che conferiscono allo Zeitgest il principio attivo, “non è l’uomo che fa la storia ma è la Storia che fa l’Uomo”, per riflettere sulla profondità di Nietzsche: ”Egli aveva maturato la convinzione di essere il pensatore più indipendente e inattuale della sua epoca ma non si è reso conto che la sua filosofia era il suo tempo appreso in pensieri. In altri termini Nietzsche non è altro che attualità e storia che ha trasposto verso la Grecia arcaica ma è l’incarnazione inconsapevole della crisi, perché la crisi europea avanzata si irradiava in tutte le attività umane: nell’agorà, nella religione, nell’economia, nel diritto e quindi nella filosofia. Nietzsche passeggiava sulle colline, lungo i laghi e prendeva appunti, reputava che non fosse possibile cambiare il mondo con la politica, nel suo percorso assolutamente solitario, antipolitico, filosofico è arrivato a determinati risultati poiché per lui la logica non funzionava se non in senso antropomorfico. Ha detto che “la logica è una macchina autoaffermativa che rende pensabile quello che non lo è”. La realtà è una X, da Copernico in poi l’uomo scivola al centro verso una X, cioè la realtà è inafferrabile e inconoscibile. La logica funziona in base a cose uguali e nella natura non c’è niente di eguale. Nietzsche ha trasformato la filosofia che è contemplazione della realtà, di cui l’uomo è una parte, in moralismo, ossia in studio dell’uomo sull’uomo immerso in ciò che è altro dall’uomo. Questo è il primo dei tre aspetti che costituiscono la crisi europea che lui ha risolto in questo modo, con una rivoluzione copernicana. La verità quindi non esiste, è l’errore di cui una certa specie ha bisogno per sopravvivere. Secondo Nietzsche l’essenza dell’essere umano è quella che aveva già definito Baruch Spinoza, da lui elevato a personale precursore: “Lo sforzo di conservare ed eventualmente potenziare il proprio essere”. Qual è dunque il criterio della filosofia? “Nella sua visione, è valida quella filosofia che aiuta i forti, i grandi, i nobili della natura che vengono costantemente avversati dai mediocri del loro evo, tanti e furbi. I nobili sono destinati a soccombere anche se a mio avviso vi sono stati esempi che confutano questa prospettiva. Nel discorso del filosofo tedesco c’è la negazione della responsabilità, del libero arbitrio, l’esaltazione della dura legge naturale della sopraffazione, persino della schiavitù. Questa serie di disvalori che sono frutto delle ricerche solitarie di Nietzsche coincidono esattamente coi disvalori della crisi europea. Non si tratta tuttavia di un miracolo. Se noi infatti consideriamo che quando la crisi avanza si irradia in tutte le attività umane, ciò rappresenta una conseguenza logica”.

Articolando una riflessione sulla questione teologica, Mario Carparelli sottolinea tra le scoperte filosofiche di Sossio Giametta quella di “Nietzsche come genio religioso, un genio alla stregua di Martin Lutero” la cui magnificenza si esplica al culmine di un processo lungo cinque secoli scatenato dalla decadenza della Chiesa cattolica. Il filosofo partenopeo rende onore “ai grandi pensatori italiani che hanno cercato di sostituire Dio con la Natura e la teologia con la filosofia. A monte delle terribili guerre di religione c’è stata anche questa guerra filosofica che è stata pagata cara dagli italiani. Sono loro gli iniziatori della civiltà moderna che si distingue dal Medioevo per la ribellione nei confronti della religione e l’esaltazione della laicità e della secolarizzazione. Spinoza ha proseguito nel solco tracciato scrivendo un potente sistema geometrico che ha rovesciato addirittura l’ordine teocratico in Europa. Potete quindi immaginare gli insulti e gli attacchi subìti anche un secolo dopo la morte da parte delle autorità religiose e di quelle affini”. Si discorre di critica biblica e trattato politico-teologico tracciando il filo storico attraverso un altro eminente eretico, Ludwig Feuerbach, per il quale “non è Dio che crea l’uomo ma è l’essere umano che crea Dio attingendo alle più grandi facoltà e trasferendole al Padreterno”. Secondo Giametta il salto qualitativo, l’approdo finale all’epoca moderna si manifesta precipuamente con Nietzsche, che “a differenza di Spinoza non aveva l’ideale dell’amor Dei intellectualis e con la sua potenza poetica ha portato al calor bianco questa rivoluzione laica: ha predicato contro l’immortalità la vita caduca però ricca di senso, infinito ed eternità, ha predicato contro l’anima il corpo, di cui lo spirito è l’araldo e il compagno, ha predicato contro i cieli la terra e quindi ha compiuto questo processo di cinque secoli di eversione della religione e affermazione della religione laica”. Accanto a Giordano Bruno, si ritiene doveroso inserire l’umanista Pietro Pomponazzi, il filosofo naturalista Domenico Telesio, il domenicano Tommaso Campanella, la cui utopia pacifica quasi contempera, nelle pagine di Socialfemminismo, l’impossibile rivolta armata della comunità di frà Dolcino e Margherita. E’ d’uopo soffermarsi sul portato di Giulio Cesare Vanini, emerso negli ultimi anni grazie ai libri di Mario Carparelli http://www.crisi-philosophy.com/docenti/87-mario-carparelli.html e nel quale Giametta riconosce il tratto costitutivo del vero immanentista: “Nel Medioevo Erasmo da Rotterdam e Thomas Moore sono rimasti dentro la religione cattolica. I francesi hanno avuto una reazione scettica ma hanno mantenuto l’impianto generale della Chiesa cattolica con la scusa che l’uomo è troppo piccolo per poter giudicare. Montaigne fu il più scettico ma i seguaci non sono usciti dalla religione, non hanno retto allo spettacolo della Natura disabitata da Dio. La Francia storicamente ha tanti titoli di dote ma non può andar fiera della scommessa di Pascal: “Anche se non vediamo Dio nella natura scommettiamo e viviamo secondo i comandamenti della Chiesa, se non è vero non ci rimettiamo niente, se è vero ci guadagniamo tutto”. I grandi filosofi italiani invece sono usciti, si sono opposti alla religione venendo incarcerati e mandati al rogo. Sono loro gli eroi, i veri iniziatori dell’età moderna. Giordano Bruno si è permesso di ergersi a confronto di Gesù Cristo, in quella fase di primo Rinascimento ci fu un’ipostasi dell’uomo (la convinzione che potesse dominare la realtà intera, espressa ad esempio da Pico della Mirandola). Giulio Cesare Vanini l’ha calmierata, ha avuto questo lato di correzione nei confronti di un’esaltazione esagerata dell’uomo ma senza far parte dello scetticismo. Vanini infatti ha detto cose molto chiare e positive: è stato prima di Nietzsche il filosofo immanentista”.
A precisa domanda sull’evoluzione della crisi occidentale, Giametta fa riferimento alle intuizioni quattrocentesche di Pomponazzi, argomenti poi dispiegati ex professo da Oswald Spengler: ”Le diverse civiltà sono organismi condizionati dalle circostanze storiche e geografiche ma seguono sopra tutto una propria legge interna, secondo la quale nascono ricche di vitalità, si sviluppano e arrivano all’acme della loro potenza, dopodiché comincia la parabola discendente. Tutto quello che esiste è destinato a perire, ragion per cui i cristiani all’origine erano martirizzati dai pagani ma hanno vinto; però dopo 1500 anni questo movimento aveva realizzato tutte le sue potenzialità intrinseche. E’ una legge generale. Prendiamo il movimento artistico italiano, che è durato vari secoli: iniziato con Giotto, che conservava comunque elementi gotici, ha aperto la via; quando i movimenti sono vitali si moltiplicano e si diversificano: scuola fiorentina, scuola veneziana, umbra, ferrarese, eccetera. Così anche la Chiesa nel periodo di potenza medievale ha creato nuovi ordini (benedettini, francescani e decine di altri), come l’antica Grecia che quando è stata conquistata dai romani ha continuato a diffondersi in particolare grazie a Cicerone e Seneca, ma alla fine non aveva più valori da esportare, da rinnovare”. Dunque anche la decadenza della civiltà occidentale non è cagionata da epifenomeni come s’intende nel sentimento comune: “La corruzione non è la causa ma l’effetto della crisi. La vera fine è il compimento di tutte le cose. L’Europa aveva conquistato il mondo agendo come organismo multicefalo ma con la seconda guerra mondiale è finito il suo primato politico, quindi è inutile pensare che l’Europa possa rimettersi in piedi, è come sperare che un vecchio ridiventi giovane”.
In seguito Carparelli trasferisce la discussione sull’altra sponda atlantica, ricordando che Socialfemminismo è stato scritto mentre il popolo americano sceglieva tra Donald Trump e Hillary Clinton, considerata vincente da molti osservatori. “Quanto sarebbero cambiate le cose se le elezioni fossero andate diversamente?” La premessa dell’autore, che condivide l’impostazione di Giametta relativa alla subalternità dell’Europa rispetto agli Stati Uniti nell’Occidente capitalistico, investe lo scarso livello di partecipazione democratica e dunque le limitate facoltà di incidere dal basso sul funzionamento di un sistema che non concede reali alternative politiche :”La weltanschauung di Trump atterrisce il resto del mondo poiché intrisa di elementi di razzismo e misoginia, le sue politiche si stanno anche rivelando un condensato di demagogia spicciola e schizofrenia destabilizzante, per cui è ragionevole continuare a ritenere che Hillary Clinton sarebbe stata un problema minore per gli americani e sullo scacchiere mondiale. Tuttavia resto convinto che nella sostanza delle diseguaglianze sociali e tra i sessi sarebbe cambiato poco. Clinton ha le carte in regola per la pratica di governo, non essendo la classica first lady ma una donna che ha saputo vincere le tradizionali avversità maschiliste nel campo professionale forense arrivando a scalare la classifica degli studi legali più influenti, una donna che ha accumulato esperienza politica in autonomia. Nella sostanza delle politiche sociali però non si è mai discostata dal percorso del marito ed ex presidente Bill, espressione significativa del patriarcato capitalista americano. D’altronde, malgrado lo spauracchio di Trump, era necessario registrare il sostegno dell’Arabia Saudita e di importanti banche d’affari alla Clinton foundation, fattori che i mass media dequalificano a dettagli trascurabili. Quanto al fatto che giungeva alla candidatura sulla scia del coniuge, non va dimenticato che in occasione del caso Lewinsky aveva giurato sulla fedeltà di Bill Clinton, salvo poi perdonarlo. E anche da questo punto di vista Hillary aderisce alla morale occidentale”.

Donne di progresso
La conversazione si spande nel progresso sociale e umano donato dalle donne, ancorché cadute nell’oblio della storiografia ufficiale, o perseguitate e uccise dall’Inquisizione. Santachiara narra le femministe nei vari contesti spazio temporali: le combattenti curde di oggi, le partigiane di ieri, le tabacchine che scioperavano per i diritti al sud e le mondine al nord, le tante lotte contro lo sfruttamento. Merita di riflettere sul concetto di “proletaria del proletariato” che ha attraversato compagne come Anna Kuliscioff, Camilla Ravera e nella prima metà dell’Ottocento Flora Tristan, essenziale e incisiva antropologa sociale che analizzava criticamente i rapporti di forza. “Il marito operaio, derubato del plusvalore nel ciclo produttivo, rientra a casa e sfoga le proprie frustrazioni sulla compagna, vessata due volte: dal sistema capitalista e dall’uomo che beneficiano del suo lavoro domestico gratuito”. Santachiara distingue Tristan da scrittori coevi spesso conformisti e ignavi: “Ha pubblicato straordinarie inchieste giornalistiche sulla disumanità delle industrie inglesi e francesi, perché parlava con gli operai e non degli operai, suggeriva soluzioni sociopolitiche avanzate ma è tuttora misconosciuta dalla storiografia https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=955947484542728&id=100003824569215&hc_location=ufi Breton non potrà che omaggiare Flora Tristan, “meteora che traccia un solco scintillante nel firmamento dello spirito”.
“La civiltà occidentale, grazie alle spinte socialfemministe e alle importanti trasformazioni degli ultimi due secoli, ha infine concesso la parità formale alle donne evolvendo rispetto ad altre realtà drammatiche (si pensi alle 200 milioni di ragazze sottoposte a mutilazioni genitali, alle spose bambine in India, ai fondamentalisti islamici ma anche alle schiavizzazioni della tratta nel cuore dell’Europa) però siamo lontani dall’effettiva applicazione pratica. Ciò scaturisce da un dominio maschile senza soluzione di continuità nell’economia, nei governi e nei centri del sapere”. Carparelli definisce l’approccio di Santachiara sine ire et studio, libero da ideologie e pregiudizi nel senso più alto filosoficamente, e gli domanda quale metodo ha adottato per scrivere il saggio: ”Ho iniziato partendo dall’esperienza maturata nella cronaca giudiziaria, nella prospettiva di indagare sulle molteplici cause originarie della cultura sessista e della sopraffazione maschile che affonda le radici nel sentimento di possesso, costruzione comune a molte culture e religioni che si è andata affermando attraverso le consuetudini, poi la scrittura, i codici e le leggi. Secondo Friedrich Engels la sconfitta storica della donna fu determinata dalla prima divisione del lavoro e di accumulazione dei beni da parte dell’uomo nella fase della pastorizia. Altre ipotesi accreditano un ruolo decisivo all’avanzamento tecnico, (ad esempio secondo Gaston Bachelard la scoperta del bronzo e quindi l’uso delle armi di metallo e l’intensificazione dell’agricoltura). Tuttavia, come pure la presa d’atto di Levi Strauss sullo “scambio delle donne” da parte dei mariti che è la conseguenza dell’ancestrale senso di proprietà, queste teorie sono insufficienti a spiegare la complessità dei processi storici. Lo fa notare molto bene Simone de Beauvoir quando ricorda che il solo strumento metallico non può aver rovesciato i rapporti di forza né il determinismo economico può bastare poiché inquadra la donna alla stregua della classe lavoratrice oppressa mentre il legame di convivenza e di emotività tra i sessi non rende possibile una sopraffazione assoluta né una ribellione, un conflitto sociale per come lo conosciamo nelle categorie marxiane. I frammenti archeologici ricavati dal periodo preistorico come le statuette di Venere ritrovate a distanza di tempo e spazio e raffiguranti una sorta di Grande Madre, o i primi disegni rupestri in maggioranza femminili, non permettono di completare il mosaico ma ci inducono a riflettere su cambiamenti reali. Lasciamo da parte la suggestione bachofeniana del Matriarcato che un’evoluzione di stampo darwiniano e unilineare avrebbe provveduto a sostituire col patriarcato, tesi priva di fondamento. Valutiamo però le moderne ricerche di antropologhe quali Heide Abendroth che hanno illuminato comunità matricentriche, dove la donna è al centro del clan familiare e della vita sociale poiché le sono riconosciuti ruoli autorevoli come quello della sciamana in Oriente o della sacerdotessa nella civiltà indoeuropea. La religione è elemento cruciale perché ci aiuta a comprendere la trasformazione graduale, dal politeismo al monoteismo del Padre, padrone e Padreterno che rappresenta il tratto distintivo della cultura occidentale. E qui ritorna la modernità del pensiero di Nietzsche sulle contraddizioni della nostra civiltà: le falsità, le iniquità, l’aridità, l’incapacità di riformarsi e d’inventare un oltre. Hannah Arendt ha ripreso le categorie nietzschiane nella misura in cui discerne tra forze attive e reattive: le prime sono la libera volontà, il giudizio riflettente, l’azione plurale; le seconde sono la mera contemplazione, il lavoro alienante e l’interesse meschino. Arendt si riferiva in particolare al genio istantaneo che audacemente trascende gli schemi e crea, agli artisti che non fanno chiacchiere ma agiscono compiendo le imprese che fanno la Storia”.
Giametta: ”Hannah Arendt effettivamente ha saputo cogliere il Pensiero. D’altronde attraverso Heidegger, che con Nietzsche ha perso il duello filosofico, certamente altre intellettuali hanno avuto la possibilità di attingere alle sue grandi idee…
Santachiara: ”Le donne di progresso sono attraversate dal miglior spirito di Nietzsche, da quell’amore per l’essenza delle cose, per la difesa del lavoro, della terra e dei diritti umani che rappresentano lo sprone a superare l’insipienza indotta, gli svantaggi e tutte le asperità che scaturiscono dall’egemonia maschile e capitalista. A proposito di “agenti plurali” vorrei parlarvi di Aleksandra Kollontaj, prima ministra femminista della Storia. Dopo la Rivoluzione, in qualità di commissaria del popolo per l’assistenza sociale, era impegnata nelle campagne di alfabetizzazione nel vasto territorio russo, comprese le zone rurali dominate dal fanatismo islamico. I progetti integrati con le Zhenotdel (commissioni femminili del Pcus) hanno prodotto riforme storiche: il divorzio, la liberalizzazione dell’aborto, la parità tra coniugi, l’istituzione di mense e lavanderie pubbliche affinché si decostruisse il modello unico di famiglia e venisse ridisegnata finalmente l’atavica preassegnazione dei ruoli del maschio e della femmina in termini di cura, incombenze domestiche, tipologie lavorative. Nel volgere di un paio d’anni però Kollontaj assiste al tradimento dei principi socialisti e democratici. La ‘cuoca di Trotsky’ non ha mai avuto accesso alla stanza dei bottoni, le donne restano come gli operai ai margini rispetto alla burocrazia che in poco tempo instaura un regime totalitario. Con la tecnica del promoveatur ut amoveatur, l’ex commissaria viene spedita all’estero in qualità di ambasciatrice dell’Urss. In questa sede però vorrei focalizzarmi sull’idea che Kollontaj ha dell’amore, un fattore sociopsicologico che eleva alla dimensione pubblica, sottraendolo alla logica comune e naturalmente all’ontologia. Il rapporto di coppia nella morale cattolica e borghese è fondato sul possesso esclusivista dell’uomo e sull’ipocrisia dei rapporti extraconiugali. Nel pensiero filosofico di Kollontaj sussume la speranza che possa diffondersi un eros alato. Badate bene, non si tratta di una banale poliandria, cioè ella non pone limiti numerici e di orientamento sessuale ma il punto è un altro: l’amore risveglia in tutti noi le migliori qualità, la voglia di migliorare, sviluppa quindi la sensibilità, la comprensione, la solidarietà, la grazia poetica del reale, la meraviglia per tutto ciò che è. Secondo Kollontaj il risveglio qualitativo, questa sublimazione dell’umano quando è innamorato, non deve rivolgersi solamente alla sfera privata e bilaterale del partner ma può andare al di là di baci e carezze e arrivare alla comunità attraverso la creatività e l’attività”.
Giametta: ”L’eros è il tuffo nella grandezza della specie dell’uomo”.
Carparelli ricorda che lo sguardo di Sossio Giametta si è concentrato sul capitolo di Socialfemminismo dedicato alla connessione tra filosofia e psicanalisi, con protagonista Lou Salomè, donna amata da Nietzsche senza essere ricambiato.
Giametta: ”Ho assaportato vari punti di questo testo, anzitutto come studioso di Nietzsche ho approfondito ‘Salomè, volontà di potenza’. Ho notato uno stile molto robusto, pregno di cose e non di vuote parole. L’autore mi ha colpito per la penetrazione profonda nel reale e anche per l’equanimità di esposizione, merce piuttosto rara nel nostro tempo, perché non vi è alcun fanatismo né contro né a favore, si tratta di un’ esposizione vera di tutte le qualità sia positive che negative di Lou Salomè che restituiscono al discorso pubblico un grande esempio di lotta per la libertà della donna. Questa lotta le va riconosciuta, sebbene si sia comportata anche in malo modo infliggendo sofferenze a molti dei protagonisti della cultura del suo tempo, facendo quasi suicidare Nietzsche. Il quale tuttavia ha riconosciuto che era “diventato maturo per lo Zarathustra”, la sua opera più importante, solo per il contatto avuto con Lou Salomè. Evidentemente questo innamoramento ha scosso le sue potenzialità nascoste di tipo poetico, veramente alte, al di sopra di sue altre splendide opere aforistiche in cui lui ha seguito Voltaire come illuminista. Poi, improvvisamente, ha partorito questo capolavoro. Per una specie di principio di Pascal, la passione sfortunata che Nietzsche ha avuto per Lou Salomè ha agito in senso creativo, spingendolo a creare la sua massima opera. A Stefano Santachiara vanno i miei complimenti perché questo è un gran libro, molto robusto e ricchissimo di cose essenziali”.
Santachiara:” Ringrazio per la lode, oltre che per questa dialettica così arricchente”.
Pausa. Si assiste alla lettura di un passo di Socialfemminismo (pag.255) tratto da Così parlò Zarathustra. Le altitudini poetiche di Nietzsche per Lou Salomè.
A margine delle risposte ai diversi interventi del pubblico che protraggono la serata facendo tramontare il sole dietro la Chiesa dei Diavoli, gli autori si concedono un ulteriore scambio sulla figura di Salomè: individualista, forse cinica, certamente libertaria. Per Santachiara “la grande filosofa non è femminista nominalmente ma di fatto con la propria vita trascendente, nella quale incarna l’oltredonna; Salomè non crede e non pratica l’obbligo di maternità e tutte le leggi generalissime che il patriarcato usa per fissare le funzioni della donna ma è convinta che la capacità procreatrice nobiliti il femmineo rispetto al maschile, in termini di sensibilità, forza interiore, vorace curiosità gaudente di conoscenza disinteressata. Di fatto rivendica la superiorità muliebre. L’uomo infatti è più bisognoso e meno autonomo, persegue sempre uno scopo, foss’anche politicamente nobile, o una passione che lo travolge come nel caso degli innamorati di Lou, ingravidati delle loro opere laddove trasformano la sofferenza in sovrumana energia creativa”. Nell’eros, secondo Salomè, “la sintonia dell’irruzione onirica e della richiesta concreta nei confronti dell’altro fa dell’amato poco più di un frammento del reale, eppure ha la potenza della ricerca della pienezza originaria”. La sincerità nei rapporti, sin dall’etica del De Amicitia, è sempre fondamento di ogni relazione umana: ”L’amico è colui che ci protegge dal perdere la nostra solitudine, perfino colui che ci protegge l’uno dall’altro”. Giametta concorda che la filosofa nietzschana divenne anche una grande psicanalista, come riconobbe lo stesso Sigmund Freud. Salomè, in un carteggio con la figlia Anna Freud, annota: ”Il solo peccato è quello di essere disonesti con la propria natura”. Lacan adopererà il concetto per affermare che “il soggetto si perde solo se tradisce il proprio desiderio”.


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