Vede avversari ovunque, non più solo D’Alema. L’analisi del “Cattaneo”: i candidati della sinistra sono stati salvati dalle liste civiche. Nel Nord e nelle zone rosse i voti del Pd sono finiti nell’astensione. La politica renziana ha risuscitato Berlusconiù
Renzi Matteo sta perdendo la testa. Non può ignorare che i risultati della prima giornata delle elezioni amministrative non sono “buoni”, non indicano un futuro roseo per i candidati Pd che vanno al ballottaggio, anzi per loro sarà dura. I numeri parlano chiaro, le analisi degli istituti di ricerca, in primo piano il Cattaneo, ormai specializzato, dicono che il Pd è stato salvato dalle liste civiche. Dove è stato possibile fare accordi alla pari sono state le liste della società civile, “Civismo politico” come ha detto Leoluca Orlando, eletto al primo colpo sindaco di Palermo, a coprire il vuoto lasciato dai Dem. Renzi addirittura ha avuto il cattivo gusto di attribuire al partito di cui è segretario la vittoria di Orlando, quando è noto che il Pd a Palermo ha fatto opposizione ad Orlando fino quasi all’ultimo minuto, poi, avvertendo l’aria che tirava ha accettato le condizioni poste dal sindaco: niente simboli di partito. A testimonianza un episodio che è passato inosservato ma è un segnale importante. Nel corso della diretta di La7 è comparso un sondaggio in cui la lista del sindaco palermitano veniva indicata come quella del Pd. Orlando se la prendeva con Mentana e rifiutava una intervista. Insomma il giochino di Renzi è di quelli non proprio candidi: attribuire al suo partito i voti delle liste civiche che, in gran parte, sono voti che vengono da associazioni, movimenti di sinistra, a partire da Articolo1-Mdp.
Il segretario del Pd ha bisogno di trovare subito alleati a buon mercato
È in questo quadro che Renzi ha bisogno di trovare alleati a buon mercato, di far scendere in campo personalità a sostegno della operazione “alleanze ora e subito”. Non è un caso che lo stesso segretario del Pd abbia raccontato del viaggio fatto insieme al presidente della Regione Lazio nelle zone del terremoto. Zingaretti non è catalogato fra i renziani duri e puri, il suo vice Massimiliano Smeriglio è considerato uno dei più ascoltati consiglieri di Pisapia e, nello stesso tempo a meno che non abbia cambiato opinione, fa parte di Articolo1-Mdp. Se come è noto due più due fa quattro, non è un caso che dopo il viaggio in macchina Renzi rilancia ancora una volta una proposta di alleanza a Pisapia, questa volta indicando anche che “non vuole vecchi volti”, come titola il bollettino renziano che si chiama “La Repubblica”, promotore dell’operazione che riguarda l’ex sindaco di Milano. Vecchi volti, in primo luogo l’odiato D’Alema ma anche tutti coloro che si sono schierati per il no al referendum costituzionale. Una eccezione potrebbe farla per la presidente della Camera.
È una sorta di “operazione della disperazione” che, crediamo, Pisapia dovrebbe respingere non solo per i contenuti, lui è uno di quelli che ha votato sì, ma perché è lesiva della sua dignità. Renzi pensa che al suo comando tutti devono essere disponibili. O con lui o contro di lui. Ha poco tempo per operazioni del sottobosco politico. Anche i suoi, pensiamo, leggono i giornali, seguono le indagini sul voto, sui flussi. Non ignorano che soprattutto al Nord e nelle regioni “rosse” l’astensionismo è cresciuto. Come dice spesso Bersani quelli del Pd, che votavano Pd, se ne sono andati, ancor prima che nascesse Articolo1-Mdp. L’Istituto Cattaneo ha effettuato un test su 160 comuni superiori ai 15 mila abitanti. Una tornata che arriva dopo una lunga fase di appuntamenti elettorali, tra il 2013 e il 2016, che ha visto una forte contrazione dei votanti, scesi al 75% alle politiche e al di sotto del 60% alle europee e alle regionali, passando per il dato clamoroso del 2014 in Emilia-Romagna e Calabria quando andarono a votare circa 4 elettori su 10. Nella tornata amministrativa del 2016, la partecipazione era scesa circa al 60%, con una contrazione rispetto alle elezioni del quinquennio precedente di circa 5 punti. Era lecito – affermano gli autori della ricerca – “attendersi una diminuzione della partecipazione al voto in linea con i trend storici” ma non delle dimensioni rilevate.
Nel Nord e nelle regioni rosse, in particolare, i votanti calati di circa 430 mila unità
Raffrontando i valori assoluti dei votanti nelle elezioni di pochi giorni fa e quelle precedenti, la tornata del 2012, in termini assoluti la partecipazione è calata di circa 430 mila unità. Le diminuzioni più significative della partecipazione si osservano nelle regioni del Nord (sia a est che a ovest) e del centro “rosso” (Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria). Per la precisione, nel Nord-est la partecipazione cala di 7,7 punti percentuali, nel Nord-ovest di 7 punti e nelle regioni “rosse” di 7,5 punti. Nel centro-sud, invece, l’aumento del non-voto è molto più contenuto, soprattutto al Centro, dove il calo è “solo” di 4 punti (al Sud del 4,9). È utile osservare, inoltre, che l’affluenza continua ad essere significativamente maggiore nelle regioni del Sud e del Centro rispetto a quelle del Nord, incluse quelle regioni “rosse” considerate un tempo – scrivono i ricercatori del Cattaneo la terra del civismo e della diffusa partecipazione politica.
Nei 25 capoluoghi guadagnano voti i partiti del centrodestra, Lega Nord in testa
Una seconda ricerca riguarda i 25 capoluoghi di provincia andati al voto domenica scorsa e, laddove possibile, aggregando le liste alle principali aree nelle quali si articola oggi il sistema politico. In queste aggregazioni si sono attribuite a centrosinistra e centrodestra tutte le varie liste civiche schierate in appoggio ai candidati di queste aree. Confrontando i risultati delle elezioni amministrative del 2012 e del 2017, il primo dato che emerge è che gli unici due partiti che guadagnano voti sono entrambi del centrodestra, la Lega nord (+2,6 p.p.) e i partiti riuniti sotto l’etichetta della “Destra” (Fratelli d’Italia, Alleanza Nazionale ecc.). Forza Italia ha subito un calo di 2,2 punti percentuali, che però nell’ottica dell’intera coalizione di centrodestra sono compensati dai guadagni elettorali dei partiti più “radicali”. Nel campo del centrosinistra – si legge nella ricerca – si nota una riduzione dei consensi, in termini di punti percentuali, sia per la Sinistra (Sel, Sinistra Italiana, Articolo uno, Rivoluzione civile ecc.) che per il Partito democratico. Per la precisione, la Sinistra perde 1 punto percentuale, mentre il Pd scende in media dal 26,3 al 24,5 (-1,8 p.p.). Il calo più significativo nel confronto tra le elezioni amministrative del 2012 e del 2017 è quello subito dai partiti di Centro (Udc, Scelta civica, Alleanza popolare ecc.), i quali perdono circa 7 punti percentuali. Infine, il M5s mostra segni di tenuta elettorale rispetto al 2012, quando il Movimento era ai suoi esordi a livello amministrativo: in media i Cinquestelle raccoglievano l’8,1% dei voti nel 2012, mentre oggi si sono fermati in media al 7,8%. A livello amministrativo, quindi, il M5s – nonostante il suo maggiore sforzo di radicamento e diffusione – è rimasto sostanzialmente fermo a cinque anni fa, con un elettorato“congelato” incapace di estendersi nei comuni.
M5S è rimasto a livello locale il piccolo movimento-partito degli esordi
La ricerca mette poi a confronto i risultati delle amministrative di domenica scorsa con i dati delle elezioni politiche del 2013. Il quadro generale muta in maniera considerevole, soprattutto per il Movimento 5 stelle e i partiti di centrodestra. Nel primo caso, l’espansione dei Cinquestelle osservata nel 2013 (quando il M5s aveva raccolto il 25,8% dei voti) subisce una riduzione drastica di -18 punti percentuali. In pratica, a livello locale il M5s è rimasto il “piccolo” movimento/partito degli esordi, quando si presentò alle elezioni municipali per la prima volta.
Per quanto riguarda il centrosinistra la ricerca del Cattaneo parla di un calo dei voti sia per il Pd (-3,2 p.p.) che per l’aggregato della Sinistra (-1.7 p.p.). Un simile trend negativo, anche se leggermente più marcato, è visibile per i partiti del polo di Centro, il quale passa dall’11,3% dei voti alle politiche al 7,2% delle recente tornata di elezioni amministrativa. Per i tre partiti di destra, il bilancio è invece totalmente positivo: Forza Italia cresce di 3,2 punti percentuali, la Destra di 2,3 punti e la Lega di oltre 8 punti rispetto alle ultime elezioni politiche. Dunque, anche da questa prospettiva il centrodestra emerge come il vincitore di questa tornata elettorale, con un aumento dei consensi che, in confronto col 2013, premia tutti i suoi componenti, anche se il contributo maggiore arriva dalla destra estrema o radicale, dicono i ricercatori. Tradotto: la Lega Nord in primo luogo. Per quanto riguarda il centrosinistra lo schieramento vede ridurre i suoi consensi rispetto a cinque anni fa di ben 14 punti, un dato – afferma la ricerca del Cattaneo – che spiega anche le difficoltà della coalizione di centrosinistra in alcune sue storiche roccaforti come Genova, La Spezia, Lucca, Pistoia. “A differenza del centrodestra, dove il traino elettorale è rappresentato dall’area più radicale dello schieramento, nel caso del centrosinistra – conclude la ricerca – il contributo più significativo sembra giungere dall’area multiforme del civismo orientato a sinistra, che permette alla coalizione di restare localmente competitiva rispetto alla formazione politica avversaria”.
L’analisi del voto dovrebbe ricondurre il segretario del Pd a più miti consigli
L’analisi del voto dovrebbe ricondurre Renzi Matteo a più miti consigli: la politica del suo governo, i mille giorni, più quei pochi di Gentiloni che si è mosso nel solco tracciato dal suo predecessore, sono alla base del successo del centro destra, della destra in particolare che fa capo al leghista Salvini, al ritorno in grande spolvero di Berlusconi, che sembrava ormai scomparso e che prima con il patto del Nazareno poi con gli accordi sottobanco sullo scambio legge elettorale-voto subito, alleanza di governo Pd e annessi minori con Forza Italia e eventuali alleati. Una vera e propria “accozzaglia “ per usare il gergo di Renzi. E per portare a buon fine l’impresa ecco le offerte, anzi il richiamo a Pisapia, perché di questa operazione si faccia complice. E lui, una volta il signorotto di Rignano, ora non più visto che non l’hanno votato neppure i suoi concittadini, a dare i voti. Ora non più solo Massimo D’Alema va messo all’indice, una volta gli “eretici” venivano bruciati, ma con lui tutti quelli che “hanno osteggiato le nostre riforme”. “Pisapia – dice Renzi al suo giornalista preferito, di Repubblica ovviamente “non ha osteggiato le riforme del nostro governo. Le ha interpretate in maniera più radicale, senza mettersi traverso”. Chi si è messo di traverso è avvertito. Pensiamo che anche Pisapia sia fra coloro che non gradisce le lisciate del Renzi. Se è così, lo dicesse, facendo cadere ogni equivoco.