“Renzi sotto attacco”, titola oggi Repubblica. Stefano Folli, nell’editoriale, gli consiglia di considerare “l’ipotesi che Gentiloni resti a Palazzo Chigi anche dopo il voto, con il suo profilo rassicurante” come un’occasione “per lavorare con le mani libere e senza secondi fini al vero progetto: riconquistare il cuore degli elettori”. Perfino Veltroni (tu quoque?) consiglia al segretario di “cambiare passo” perché “oggi il partito non è più la forza innovativa e di sinistra che avevamo immaginato”, ma è solo “la proiezione della Margherita”. A questo punto, dopo ventiquattr’ore di tweet, ottimismo, ardite arrampicate sugli specchi sul risultato delle elezioni, anche lui finalmente ammette: “La verità vera è che abbiamo perso”, anche se “le politiche sono un’altra cosa”.
Allora cambia passo? Convoca il tavolo unitario con gli scissionisti che gli chiede Orlando? Annuncia le primarie di coalizione del centrosinistra? Ma figurati. “Se il Pd ha perso, Pisapia è uscito a pezzi. Anzi, queste elezioni sono la dimostrazione – sottolinea Renzi – che Pisapia non esiste. A Genova abbiamo candidato quello che volevano loro, che voleva Mdp. E com’è andata? Però almeno così si fa un po’ di chiarezza su questa cosa. Perché se non si fa chiarezza, non si risolve il tema delle alleanze. Domattina (oggi, ndr.) lo dirò alla mia rassegna stampa: il centrosinistra da Pisapia a Calenda non ha proprio senso. E chi nel Pd come Orlando e Cuperlo chiede nuove primarie, è semplicemente ridicolo. Non gli è ancora bastato? Tutti mi davano per morto, poi alle primarie si è visto che proprio morto non sono, nonostante il ponte del 1° maggio e nonostante la vicenda Consip. Ogni volta che si sono fatte le primarie, e loro si sono presentati, hanno sempre perso. Non gli basta mai? È come se io volessi rifare il referendum perché mi è piaciuto schiantarmi…”.
Il virgolettato è di Newspedia.it, così sfacciato anche nei toni che c’è da chiedersi se corrisponda davvero a una registrazione sonora del segretario dem. Perché in questo caso sarebbe davvero una provocazione nei confronti dei pochi dissidenti rimasti nel Pd, con l’ invito implicito ad abbandonare il partito nelle mani della maggioranza renziana (ma poche ore fa l’altolà di Franceschini: “il Pd è nato per unire e non per dividere”). Non solo. Il rifiuto della coalizione e del premio per favorirla con una nuova legge elettorale potrebbe essere coerente con la scommessa – o la va o la spacca – di puntare tutto sull’inciucio con Berlusconi. Non prima ma dopo il voto. Quando, eletto il nuovo parlamento, divenisse evidente l’inconciliabilità di programmi (l’Europa e non solo) oltre che di governo tra l’ex cavaliere (“rieccolo”) e Matteo Salvini. Una scommessa così azzardata che riesce a far dubitare noi (non lui però) dell’autenticità del virgolettato, peraltro non firmato, di newspedia.it.
A meno che Renzi non disponga già di un affidamento e di una promessa di sostegno da una parte almeno dei gruppi di potere che lo hanno appoggiato quando era al governo. I quali potrebbero avere già preso in considerazione, come seconda scelta, l’ipotesi di un governo Pd/Forza Italia. Nel caso che il tentativo disperato di Pisapia per risuscitare una maggioranza di centrosinistra con il Partito democratico e tutti o in parte gli scissionisti non andasse a buon fine. Perché lorsignori possono anche mandar giù il vinavil di Romano Prodi, ma la prospettiva di una nuova alleanza a sinistra con un Pd non di Renzi, il “campo progressista”, MdP,”Possibile”, Sinistra Italiana e i gufi felici della “società civile” e del teatro Brancaccio, quella no. E a questo punto sono proprio curioso di sentire che cosa il 1° luglio dirà, dopo il trattamento subito da Renzi, l’ex sindaco di Milano nel grande appuntamento di Piazza Santi Apostoli, a Roma.