La fotografia della Repubblica Democratica del Congo è, oggi, un’immagine allarmante. Sembra che tutti gli stereotipi sul continente africano si siano materializzati in questa nazione dei Grandi Laghi: instabilità politica, violazione grave dei diritti umani e civili, guerriglie tra gruppi armati, tensioni di natura etnica, masse di sfollati, povertà dilagante, allarmi per epidemie.
Il picco della crisi interna arriva il 19 dicembre 2016. L’ultimo giorno in carica come presidente per Joseph Kabila si trasforma, in realtà, nel primo giorno di un lungo periodo di instabilità, violenza, repressione. Il presidente decide di non lasciare le sue funzioni, violando palesemente la Costituzione che vieta il terzo mandato. Kabila ha cercato di imporre le sue ragioni di potere sulle regole delle istituzioni. Queste ultime, complici dell’arroganza presidenziale, hanno di fatto giocato un ruolo di dubbia legalità e imparzialità. La Corte Costituzionale ha sostenuto la necessità di riorganizzare la decentralizzazione territoriale e, dunque, di indire elezioni locali piuttosto che quelle presidenziali. Inoltre, l’organo istituzionale ha più volte ribadito che le elezioni andavano rinviate e che la carica di Kabila restava valida fino al suo successore. La commissione elettorale ha evidenziato insormontabili difficoltà logistiche e pratiche per rinnovare le liste elettorali in tempi brevi… Continua su vociglobali