Il 22 giugno i «Corridoi umanitari» della Fcei, Sant’Egidio e Tavola valdese, otterranno il Premio Luchetta. La nostra intervista al presidente di giuria, giornalista e direttore della Tgr nazionale, Vincenzo Morgante
Nell’ambito della 14esima edizione del Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta, il riconoscimento speciale per il 2017 è andato a «Mediterranean hope (Mh) – progetto corridoi umanitari: l’accoglienza oltre l’emergenza», avviato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese. «Quest’anno la Fondazione Luchetta premia un sogno che può e deve diventare realtà – si legge nelle motivazioni del premio –: un appello all’Europa perché si renda protagonista dell’accoglienza». Abbiamo intervistato il presidente di Giuria del Premio Luchetta, il giornalista e direttore dalla Tgr nazionale, Vincenzo Morgante.
Morgante, quest’anno avete deciso di assegnare un premio speciale all’iniziativa – pilota in Europa – dei «Corridoi umanitari», promossi dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Sant’Egidio e la Tavola valdese, perché?
«Il Premio Speciale è assegnato dalla Fondazione Luchetta, che segue con sguardo vigile le questioni legate agli esodi e alle migrazioni, emblema del nostro tempo. La Fondazione si è data una mission importante: curare e assistere, con le loro famiglie, i bambini vittime delle guerre, che sempre più spesso si sono dovuti imbarcare nel Mediterraneo per sfuggire alle “trincee” della propria casa. I “Corridoi umanitari” hanno già accompagnato nel nostro paese quasi mille rifugiati siriani, accolti attraverso reti di ospitalità privata. Un modello, questo, di esempio per tutti e utile per affrontare, seppur si stia parlando di “una goccia nel mare”, il fenomeno dei flussi migratori attraverso l’apertura, in sicurezza, di corridoi aerei e dietro un’attenta verifica delle reali necessità, concentrandosi soprattutto sulle situazioni di maggior vulnerabilità, e grazie a un visto rilasciato dal Governo italiano. Il nostro apprezzamento all’iniziativa non è certamente stato il primo, parole di apprezzamento erano giunte in passato da Papa Francesco e dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella».
Il vostro Premio giornalistico è molto attento ai valori della pace e della solidarietà. Perché?
«Perché sono valori importanti e che ci auguriamo possano ispirare le società globalizzate a muoversi con iniziative mirate e volte a ottenere un mondo migliore, la più importante eredità che lasceremo ai nostri figli. Il Premio Luchetta, consolidatosi negli anni per autorevolezza e prestigio, è nato per sensibilizzare intorno al tema dell’infanzia minacciata e violata a qualsiasi latitudine del pianeta, ma anche da un gesto di grande generosità che il giornalista Marco Luchetta, della Tgr Friuli Venezia Giulia, insieme ai suoi colleghi Sacha Ota e Dario D’Angelo fecero per proteggere la vita di un bimbo bosniaco dallo scoppio di una granata. Questo loro gesto, istintivo, ha saputo dimostrare a costo della vita che la solidarietà e le iniziative a favore della pace possono aiutare il mondo a trovare un futuro dignitoso per i suoi abitanti».
Quali sono le priorità del giornalismo italiano di oggi: dalla cronaca locale a quella internazionale?
«Il giornalismo italiano o internazionale è in costante evoluzione e deve saper trovare una mediazione tra la velocità e la fruibilità quasi fulminea delle notizie e l’accuratezza che dev’essere messa ogni volta che si decide di diffondere un fatto o un’informazione. L’accuratezza è oggi più che mai necessaria, è la garanzia di verità e di fondatezza di ciò che si divulga. Valutare, interpretare, verificare e saper collocare – regole che credo siano state utili per i promotori dei Corridoi Umanitari –, sono le sfide del giornalista di oggi, proprio come lo erano per quello di ieri, ma saperlo fare oggi assume ancor più valore, perché ottiene la fiducia di chi ha diritto di essere informato che chiede garanzie. Il flusso di notizie, quello attuale, è sempre più affastellato di informazioni che non sono informazioni e che spesso, se divulgate come tali, non sono veritiere. L’obiettivo di un giornalista non dovrebbe essere semplicemente quello di arrivare prima di altri nella veicolazione di una notizia ma altresì, se possibile, quello di poter comunicare tempestivamente e con coscienza un fatto, sempre nel rispetto di coloro che potranno fruire di quella notizia data. In questo mondo, sempre più globalizzato, è importante saper abbattere anche muri e barriere dell’informazione, ossia oltrepassare le categorie imposte dalla comunicazione che divide le notizie interne da quelle internazionali: è importante, invece, impegnarsi con professionalità e rispettando eticamente la deontologia, per far sì che i cittadini possano sentirsi parte di un mondo fatto a “maglie” sempre più strette e dove le implicazioni di fatti ed eventi apparentemente lontani, possano essere compresi e percepiti come vicini a noi. Tutto il mondo ci riguarda. I giornalisti svolgono un lavoro affascinante e delicato insieme: un mestiere che è un servizio, spesso una missione».
Fonte: Riforma.it