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Guerra dei sei giorni. 50 anni dopo… L’intervento di Daniel Barenboim su Liberation

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L’intervento Daniel Barenboim, direttore d’orchestra, fondatore dell’Orchestra del Divan occidentale-orientale di cui fanno parte musicisti israeliani, arabi e palestinesi

“La politica internazionale è attualmente dominata da argomenti come la crisi dell’euro e dei rifugiati, il ripiegamento su se stessi degli Stati Uniti di Donald Trump, la guerra in Siria e la lotta al fanatismo islamista. Eppure un argomento quasi onnipresente fino alla metà del primo decennio del nuovo secolo si è sempre più allontanato dalla televisione e anche dalla coscienza della popolazione: il conflitto in Medio oriente.  Per decenni il conflitto tra israeliani e palestinesi è stato un argomento fisso e la sua risoluzione una priorità della politica americana ed europea. Dopo numerosi fallimenti degli ultimi tentativi di soluzione, si è instaurato una sorta di status quo. Il conflitto viene considerato con un certo disagio, ma anche una certa perplessità e una forma di disillusione.

E questo è tanto più tragico in quanto i fronti continuano a irrigidirsi, la situazione dei Palestinesi si deteriora sempre più e anche il più ottimista pensa che il governo americano attuale non si coinvolgerà nel conflitto nel modo più adatto. Quello che è particolarmente tragico è che commemoriamo quest’anno e l’anno prossimo due date tristi, specialmente per i Palestinesi. Nel 2018 saranno 70 anni dalla Nakba, che i Palestinesi chiamano “catastrofe”, vale a dire la messa al bando di oltre 700.000 palestinesi, dall’antico territorio sotto mandato britannico, la Palestina, come conseguenza diretta del piano di partizione della Palestina e della creazione dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948. La Nakba persiste, dal momento che oltre 5 milioni di discendenti diretti degli espulsi palestinesi continuano a vivere in un esilio forzato. E quest’anno, il 10 giugno 2017, commemoriamo 50 anni di occupazione continua israeliana del territorio palestinese, una situazione moralmente insopportabile. Anche quelli che pensavano che la guerra dei Sei Giorni, terminata in questa data, era stata necessaria per la difesa di Israele non possono negare che l’occupazione con le sue conseguenze rappresentano una assoluta catastrofe. Non solo per i Palestinesi, ma anche per gli Israeliani, da un punto di vista strategico e morale.

E’ passato mezzo secolo e mai la soluzione è apparsa così lontana. Nessuno può aspettarsi che un giovane palestinese e un giovane israeliano si stringano la mano. Ed anche se l’argomento, come detto prima, non è molto “popolare”, è importante, sì, resta esistenziale. Per il popolo della Palestina, per Israele, per tutto il Medio Oriente, per il mondo intero. E’ per questo che oggi, per i 50 anni dell’occupazione,  faccio appello alla Germania e all’Europa perché ridiano priorità alla soluzione di questo conflitto. Un conflitto che non è politico, ma sta nella convinzione profonda di due popoli di avere un diritto sullo stesso pezzettino di terra. Se l’Europa si esprime dicendo che è necessaria più forza e più indipendenza, allora questa forza e questa indipendenza sono parte della esplicita rivendicazione della fine dell’occupazione e del riconoscimento dello Stato palestinese.

Io, come ebreo che vive da oltre venticinque anni a Berlino, dispongo di uno speciale punto di vista sulla responsabilità storica della Germania in questo conflitto. Ho la libertà e la felicità di poter vivere in Germania, perché i tedeschi hanno interrogato il loro passato e lo hanno elaborato. Certo, ci sono anche nella Germania attuale tendenze inquietanti all’estrema destra che dobbiamo combattere. Ma nell’insieme, la società tedesca dopo il 1945, si è trasformata in una società tollerante, libera e cosciente della sua responsabilità umanitaria.

Certo, le relazioni tedesco-israeliane sono sempre state caratterizzate da una sensibilità particolare; la Germania ha sempre sentito e con ragione un obbligo verso Israele. Ma devo andare più lontano: perché la Germania porta una responsabilità particolare anche verso i Palestinesi. Senza l’Olocausto, non ci sarebbe mai stata la partizione della Palestina, né la Nakba, né la guerra del 1967, né l’occupazione. Nei fatti, non si tratta solo di una responsabilità tedesca, ma europea, perché l’antisemitismo era un fenomeno presente in tutta l’Europa e oggi i palestinesi soffrono direttamente le conseguenze di questo antisemitismo, senza esserne responsabili.

E’ più che urgente che la Germania e l’Europa assumano la loro responsabilità nei confronti dei Palestinesi. Questo significa prendere misure contro Israele e per i Palestinesi. L’occupazione permanente è inaccettabile, moralmente e strategicamente nello stesso tempo. Deve finire. Fino ad oggi il mondo non ha fatto niente di significativo ma la Germania e l’Europa devono esigere il rispetto dei confini prima del 1967. Bisogna concretizzare la soluzione dei due Stati in modo che la Palestina sia infine riconosciuta come uno Stato indipendente. Deve essere trovata una soluzione giusta sulla questione dei profughi. Il diritto al ritorno va riconosciuto ai Palestinesi, va concretizzato il loro reinsediamento concertandolo con Israele.  La giusta ripartizione delle risorse e la garanzia dei diritti umani e di cittadinanza fondamentali dei palestinesi devono diventare realtà. Questa è la missione dell’Europa, in particolare in un ordine mondiale in trasformazione.

Cinquant’anni dopo il 10 giugno 1967, siamo forse lontani da una soluzione al conflitto Israelo-Palestinese. Ma se la Germania e l’ Europa cominciano da oggi a prendersi le proprie responsabilità e mettere in atto misure per i palestinesi, allora forse potremo impedire che si festeggino tra cinquant’anni i 100 anni dell’occupazione dei Territori palestinesi, perché non sarà cambiato niente”.

*http://www.liberation.fr/debats/2017/06/08/cinquante-ans-apres-le-10-juin-1967_1575417


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