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Ghayath Almadhoun, quando il dolore diventa poesia

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Sono una macchina che genera poesia e la mia poesia non è nient’altro che l’espressione, il risultato della mia vita. È come uno specchio rotto che riflette la vita, l’intera vita, fatta di letture, memorie, esperienze”. Quelle di Ghayath Almadhoun sono esperienze tali da cambiartela la vita, rivoltarla, farla in mille pezzi, appunto, da ricomporre – o anche da lasciare lì, dolorosamente taglianti.

Madre siriana, padre palestinese, Ghayath, ha vissuto per tutta la sua vita come figlio di una diaspora forzata. Come rifugiato, esiliato, o – lasciando da parte le etichette – semplicemente come un viaggiatore. Un viaggiatore che ama Walt Whitman e Baudelaire, ma soprattutto i grandi poeti arabi della poesia postmoderna del IX e X secolo.

Nato nel 1979 a Damasco, in un luogo che dopo il 1948 era stato un campo profughi, dove il padre era stato forzato a vivere cacciato dalla sua terra occupata, senza documenti da sempre come altre migliaia di persone che in Siria non hanno diritto alla nazionalità – e dunque non hanno diritti – Ghayath nel 2008 colse al volo un’occasione e sapeva che sarebbe stata forse l’unica che la vita gli avrebbe offerto: un invito ad un Festival della poesia in Svezia. Da quel Paese non sarebbe più  rientrato in Siria. La Svezia gli ha fornito – finalmente – dei documenti, un passaporto e di certo un’esistenza diversa. Lui, riconosciuto come rifugiato che scappava da una dittatura, ha cominciato da lì a girare il mondo – quasi come un forsennato – sempre a parlare di poesia, a declamare poesie o lunghi poemi, i suoi lavori, frutto della sua esperienza.

Con un senso diverso, sicuramente, di come avveniva quando ancora viveva a Damasco. Non che in quel Paese gli sia mai mancata la possibilità di scrivere, di poetare. “In Siria – racconta a Voci Globali – puoi scrivere quello che vuoi, criticare quanto vuoi e non ti accade niente, ma è quando cerchi di cambiare le cose, quando cerchi il cambiamento con l’azione, allora sì che accade qualcosa. Accade che la persona scompare, la sua famiglia viene uccisa, la sua città rasa la suolo”. Così si cancella la dissidenza in Siria.

Quella siriana non è una dittatura classica, come tutte quelle che abbiamo conosciuto o studiato, è molto più intelligente – continua -. Loro sono più intelligenti. ‘Scrivi pure quello che vuoi’… Poi però la rivoluzione la cancellano cancellando totalmente persone e città”… Continua su vociglobali


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