Dopo l’esito del G7, dopo le contrapposizioni fra l’America di Trump e l’Unione Europea e in vista di elezioni politiche in Francia, elezioni generali in Germania e poi in Italia, abbiamo analizzato alcuni aspetti con uno dei più attenti e arguti osservatori della realtà internazionale, il direttore di Rainews Antonio Di Bella.
La stampa europea era stata prudente (anche troppo) fino alle dichiarazioni di Angela Merkel, ma ora non ci sono più alibi: Trump è un problema enorme per la collettività internazionale e per l’Europa in particolare. Questo stato di cose potrebbe determinare un ricompattamento dell’Unione Europea e una scelta di politica economica diversa?
Io credo che siano molto giuste le parole di Romano Prodi, cioè che forse un giorno potremmo ringraziare Trump, perché ci ha finalmente fatto capire quanto è importante l’Europa. Ora è chiaro a tutti che solo l’Europa può essere protagonista in un nuovo ordine mondiale in cui gli Stati Uniti sono decisamente interessati solo a loro stessi. Mi ha colpito anche l’abbraccio enfatizzato di Marcon e Merkel davanti a Trump, e mi ha molto colpito la posizione del presidente tunisino sull’importanza cruciale dell’Europa per il Mediterraneo. Noi siamo ovviamente quel pezzo d’Europa che deve dialogare con il nord Africa e che potrà giocare un ruolo più forte per regolare l’emigrazione, se avrà tutta l’Europa alle spalle. Del resto, l’uscita di Londra dall’Unione rende la sponda italiana più cruciale per tutti. Il rinnovato asse franco-tedesco potrebbe anche diventare la struttura portante di una ricostruita forza comune dell’Europa. Bisognerebbe, insomma, cogliere l’occasione, ricostruire una vera Unione Europea, che sappia esaltare e tutelare gli interessi comuni.
Al di là della realpolitik che è stata necessaria finora, in che modo i governi europei possono adesso contrastare Trump sui temi principali, come quello del clima, che espone a rischi enormi soprattutto le generazioni future?
L’Europa non tornerà indietro rispetto al protocollo di Parigi e inoltre ha la possibilità di aprire un dialogo diverso con la Cina, perché, anche se può sembrare paradossale, oggi la Cina è costretta ad agire sul problema dell’ambiente e ha già manifestato un atteggiamento almeno in parte diverso rispetto a quello di Trump. Non bisogna ovviamente enfatizzare lo scontro Trump-Europa perché sarebbe una ulteriore spinta verso le diverse forme di populismo, per questo le parole dei vertici non bastano: la classe media è impaurita, l’elettorato americano, che abbiamo tutti sottostimato, ha pensato che era inutile continuare a votare democratico se poi i figli avevano meno possibilità di lavoro e meno soldi per pagare il mutuo. Trump è purtroppo il risultato della mancata risposta ai reali bisogni della gente, dobbiamo imparare questa lezione e tutti i governi europei stano cominciando a capirlo, fra molte difficoltà.
Gli americani quindi non sono pentiti della loro scelta…
Secondo me noi europei guardiamo troppo all’America di New York, l’America profonda plaude agli accordi per vendere le armi agli arabi perché pensa che porterà qualche aumento di salario, e questo che deve capire un leader democratico, non dare la sensazione di una elite lontana e colta, ma affrontare, anche in tempi di crisi economica, i problemi quotidiani delle persone, a partire da quello del lavoro.
E’ realistica l’ipotesi di un impeachment per Trump?
Difficile e comunque non prima del 2018. La procedura è lunga e difficile e se diventerà possibile lo sarà comunque dopo le elezioni di mezzo termine. E’ certo invece che comunque la strada di Trump sarò sempre più difficile, e infatti mi sbilancio nel dire che Trump non avrà un secondo mandato: Prevedo anche nelle elezioni di medio termine un successo democratico, che è il motivo per cui Trump cerca di fare tutto al più presto, sapendo che poi per sarà condizionato dai veti delle camere. E sapendo anche che i media americani non molleranno la presa e lo terranno sotto scacco, soprattutto sui punti deboli come il Russiangate.
Ma il tema che si porrà quanto prima è quello della scelta del futuro candidato democratico, un problema di leadership. E’ una questione che attualmente esiste quasi ovunque nel mondo. Oggi un leader democratico, liberale, deve riaprire il dialogo con gli elettori, che vanno rimotivati e riportati al voto per convinzione, se non con entusiasmo. La convinzione che quel leader può aiutarlo a vivere meglio, sapendo che ci vorranno anni per tornare al benessere economico, ma avendo davanti un orizzonte di attenzione per i suoi problemi, per farlo crescere, anche a piccoli passi.
Da questo punto di vista la Francia è stata un elemento decisivo nella direzione di un cambio di passo, perché Macron è riuscito a motivare l’elettorato gli elettori con una speranza e una novità.