Dopo averlo appoggiato a malincuore, portandolo a trionfare nel ballottaggio, i partiti tradizionali francesi si preparano ora a rovinare la festa a Macron, impedendogli di ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per governare. Ma il nuovo presidente della Repubblica ha dimostrato grande tenacia e non è escluso che riesca a vincere anche la difficile sfida delle elezioni politiche.
di Adriano Gizzi (redazione di Confronti)
La vittoria di Emmanuel Macron al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi di domenica 7 maggio non è stata certo una sorpresa, anche se il risultato è stato al di sopra di quanto ci si aspettasse. Con quasi due terzi dei voti espressi (ma a fronte di un’astensione record al 25% e di un altissimo numero di schede bianche e nulle: più di un voto su dieci), il giovane ex ministro dell’Economia ha ottenuto un risultato storico: solo un anno fa, ad aprile 2016, aveva fondato il suo movimento “En marche!” (ora ribattezzato “La République en marche”) e da allora la sua marcia solitaria e inarrestabile contro tutti i partiti tradizionali – inizialmente vista da molti con scetticismo e diffidenza – lo ha portato in testa al primo turno del 23 aprile e poi alla vittoria nel ballottaggio contro Marine Le Pen, facendo di lui il più giovane presidente della Repubblica della storia francese.
Con l’aria un po’ da primo della classe, l’ottimismo e la determinazione di chi sa di farcela – come dargli torto, col senno di poi? – ma i toni pacati e abbastanza concilianti (senza la spocchia di un Sarkozy, per intendersi), Macron ha sempre rivendicato con orgoglio l’espressione per la quale gli avversari politici lo hanno preso in giro, en même temps («al tempo stesso»), che poi non è altro che la versione francese del «ma anche» di Veltroni.
«Continuerò ad utilizzare questa espressione – ha spiegato Macron – perché indica semplicemente che si tiene conto di imperativi che sembrano opposti, ma la cui conciliazione è indispensabile per il buon funzionamento di una società». Insomma, la quadratura del cerchio: far funzionare l’economia e al tempo stesso migliorare la condizione dei lavoratori, accogliere immigrati e rifugiati e al tempo stesso dare risposte alle paure di molti francesi che hanno votato per il Front national… una comprensione manifestata anche nel discorso pronunciato domenica sera davanti ai suoi sostenitori che festeggiavano i risultati alla piramide del Louvre, a Parigi: «Gli elettori del Front national hanno espresso una rabbia che io rispetto». E ai militanti, che avevano iniziato a fischiare il nome della sua avversaria, Macron ha chiesto di fermarsi. E poi ha aggiunto: «Farò di tutto perché quegli elettori non abbiano più nessun motivo di votare per gli estremisti».
Insomma: comprendere le ragioni della rabbia e cercare di dare delle risposte positive che eliminino le cause del problema. Non limitarsi ad accusare di razzismo o fascismo i quasi undici milioni di francesi che hanno scelto Le Pen, assicurandole comunque il record storico sia in termini di voti che in termini percentuali per il Front national. Tra i rimedi indicati da Macron in campagna elettorale, il rinnovamento e la moralizzazione della vita pubblica francese. Promesse che contrastano con l’immagine da giovane rampollo dell’establishment che gli è stata cucita addosso. Certo, l’entusiasmo unanime con cui tutti i leader europei – Merkel e Juncker in testa – hanno accolto la sua elezione non gli facilita il compito di accreditarsi come eroe degli ultimi.
Vedremo se il nuovo presidente sarà in grado di mantenere tutte le sue promesse. A far di tutto perché non ci riesca, saranno innanzitutto le principali forze politiche escluse dal ballottaggio, che già dopo il primo turno hanno cominciato a scaldare i motori per le elezioni legislative dell’11 e 18 giugno. Lo scopo è far credere ai propri elettori che una rivincita sia possibile. In realtà, i partiti tradizionali sanno che è molto difficile che uno di loro ottenga la maggioranza di 289 seggi sui 577 dell’Assemblea nazionale, ma si accontenterebbero di veder fallire Macron. Soprattutto perché poi potrebbero correre “generosamente” in suo soccorso, accettando di formare un governo di coalizione con En marche.
La presenza dell’estrema destra ha naturalmente condizionato il risultato di questo secondo turno, creando un effetto sbarramento. Anche se la «diga contro il fascismo» questa volta è stata molto meno efficace del 2002, quando contro il padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, i francesi di destra e di sinistra andarono a votare in massa al ballottaggio per il presidente uscente Chirac, confermandolo con l’82% dei voti. Questa volta, dei quasi 21 milioni di voti ottenuti da Macron, almeno 9 gli vengono da elettori che l’hanno votato al solo scopo di evitare la vittoria di Marine Le Pen. Questi voti, così come i milioni di schede bianche e i quasi 11 milioni di voti per Le Pen, saranno tutti insieme – appassionatamente ma, per fortuna di Macron, separatamente – contro En Marche nella corsa alle legislative.
La dinamica elettorale francese, che prevede un doppio turno di collegio, fa sì che il risultato sia al momento molto difficile da prevedere. Un elemento che condiziona molto i giochi è costituito dall’incognita ballottaggi. A differenza delle presidenziali, dove al secondo turno si scontrano solo i primi due classificati, per accedere ai ballottaggi delle legislative occorre ottenere il 12,5% degli aventi diritto al voto. Questo accade collegio per collegio, quindi in ciascun caso avremo situazioni differenti. Con un’affluenza che alle politiche è generalmente inferiore rispetto alle presidenziali, a ciascun candidato occorreranno mediamente il 20% dei voti validi per accedere al ballottaggio nel proprio collegio. In poche parole, su 577 collegi saranno molti quelli nei quali accederanno al secondo turno almeno tre candidati e non pochi quelli dove la sfida sarà addirittura a quattro. Dal momento che i casi di “desistenza” saranno prevedibilmente molto più rari del passato, il risultato finale dei seggi può variare di molto anche solo con piccoli spostamenti dell’elettorato.
Marine Le Pen ha già annunciato la sua “Bolognina”, con probabile cambio di nome e di simbolo – ma anche di strategia politica – del Front national. Comunque, dopo queste presidenziali, ha buone probabilità di ottenere un record anche in termini di voti e di seggi all’Assemblea nazionale, passando dagli attuali tre ad almeno una quarantina. La destra tradizionale (Les républicains), che dopo la sconfitta di Fillon alle presidenziali prova a ritrovare una certa unità dietro l’ex ministro dell’Economia e dell’Interno François Baroin, dovrebbe riuscire facilmente ad arrivare seconda (dietro En marche di Macron), approfittando del terremoto a sinistra ma anche di un radicamento sul territorio che resiste ancora, nonostante difficoltà e divisioni.
Le sinistre dovrebbero presentarsi ancora più divise rispetto alla frammentazione delle presidenziali (dove, se fossero state unite, probabilmente avrebbero avuto accesso al ballottaggio), rischiando quindi di raggiungere nuovi record negativi. I socialisti cercano di risollevarsi dal 6% preso dal loro candidato al primo turno delle presidenziali, mentre la France insoumise dell’ex socialista Jean-Luc Mélenchon (che ha ottenuto un risultato eccezionale, con quasi il 20% dei voti) sta già litigando con il Partito comunista per l’egemonia dell’area alla sinistra dei socialisti e probabilmente le due forze presenteranno candidati separati nella maggior parte dei collegi.
Vedremo nei prossimi giorni come si organizzeranno le forze politiche, ma al momento ciascun partito tradizionale è impegnato innanzitutto a “resistere” alla forza centrifuga che spinge i propri elettori – ma anche molti eletti – verso il carro del vincitore delle presidenziali. Intanto En marche, che non vuole “ammucchiate” ma al contrario intende riunire attorno a sé il meglio delle due tradizioni politiche francesi, socialisti e post-gollisti, accoglie con molta cautela le manifestazioni di “sincera stima” che ora giungono da ogni parte, specie se provengono da deputati uscenti in cerca di rielezione.
Il nuovo presidente si insedierà entro il 14 maggio e il suo primo passo sarà nominare un primo ministro, che dovrà guidare En marche verso le elezioni di giugno. La scelta della persona (un esponente “nuovo” o una vecchia volpe della politica? Una personalità di centro, di centro-sinistra o di centro-destra?) influirà molto sulle possibilità di dialogo con le altre forze e sulle strategie elettorali di tutti. Anche se i partiti tradizionali – specie Les républicains – stanno sottolineando che non si possono tenere i piedi in due scarpe, ossia candidarsi con il movimento di Macron e pretendere di restare nel partito di provenienza: la sfida di giugno sarà all’ultimo coltello e i candidati dovranno essere chiari nelle loro scelte, quindi o di qua o di là, o con la maggioranza presidenziale o all’opposizione. Ma se questa maggioranza non si rivelerà tale nelle urne, allora tutti i giochi diventeranno possibili e si vedrà cosa suggeriranno i rapporti di forza.
Va ricordato che in Francia il presidente della Repubblica è sì una specie di “monarca”, ma in caso di coabitazione con un premier espresso da una maggioranza diversa il ruolo di quest’ultimo risulta maggiore rispetto al caso in cui esso appartenga alla stessa forza politica del presidente. Basti pensare all’esempio più lungo di coabitazione, quello del presidente di destra Chirac con il premier socialista Jospin (dal 1997 al 2002), quando un rapporto formalmente corretto e rispettoso si associava comunque a una certa “competizione”, non priva di momenti di attrito.
Questa volta però la situazione si presenta ancora più complicata, perché nel caso in cui En marche non ottenesse (per pochi seggi o per molti?) la maggioranza assoluta in Parlamento, ci troveremmo di fronte non solo a una coabitazione, come già sperimentato in passato, ma addirittura a un governo di coalizione tra partiti diversi: situazione inedita per la quinta Repubblica e senz’altro piena di incognite. In tal caso, vedremo se Macron saprà gestirla senza troppi contrasti con le altre forze politiche e, al tempo stesso, riuscendo ad attuare il proprio programma.