Non c’è giorno in Turchia che trascorra senza l’arresto di un giornalista, un intellettuale o un funzionario pubblico. La Procura di Istanbul ha emesso solo nella giornata di ieri cinque mandati di cattura nei confronti di dirigenti e reporter del quotidiano d’opposizione “Sozcu” e il direttore del sito web Mediha Olgun.
Per tutti l’accusa è di avere legami con la rete di Fethullah Gulen, indicato dal presidente Recep Tayyip Erdogan quale ideatore del tentativo di colpo di stato del 15 luglio del 2016.
A darne notizia l’agenzia di stampa “Dogan”, secondo cui il principale obiettivo dell’operazione era l’editore del quotidiano, Burak Akbay, amico e in passato collaboratore di Gulen.
Sale così a 164 il numero dei giornalisti finiti in carcere in Turchia dal fallito golpe.
Altri 123 sono stati costretti a fuggireper non essere imprigionati.
A monitorare la situazione l’Associazione dei giornalisti turchi (Tgc). Negli ultimi 4 mesi la Turchia si è posizionata in cima alla classifica mondiale per il numero di giornalisti in prigione. E la situazione non può che peggiorare.
Gli arresti di ieri sono l’ennesima dimostrazione che il bavaglio turco continua a silenziare le ultime voci libere del Paese.
La maggiore forza politica dell’opposizione, il Partito repubblicano del popolo, ha espresso una ferma condanna sottolineando che si è trattato di “arresti ingiustificabili”. “L’operazione contro Sozcu è inaccettabile – ha detto il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu – E’ un’operazione contro la Turchia che non può accettare questa pressione sui media”.
Per gli oppositori di Erdogan la tempistica del blitz contro il quotidiano “Sozcu” è significativa.
Secondo Kilicdaroglu la data non è stata scelta a caso. Il 19 maggio in Turchia si celebra la ricorrenza della Giornata della gioventù, lo sport e la memoria di Ataturk, il fondatore della Repubblica turca moderna.
Durissima la posizione espressa dal Consiglio nazionale della stampa turco che ha definito i mandati di arresto l’esempio di una nuova forma di oppressione contro i giornalisti.
“Non capiamo perché sia stata scelta proprio oggi come data per gli arresti visto, che questa indagine va avanti da 10 mesi – si legge nella nota del sindacato dei giornalisti – I procuratori potevano convocare i giornalisti per testimoniare in qualsiasi altro giorno ‘normale’ e fare loro ogni tipo di domande”.
Chissà se i presidenti di Consiglio e Commissione europei, Donald Tusk e Jean-Claude Juncker, proveranno a porrè questo, come molti altri quesiti, a Erdogan quando lo incontreranno, come annunciato ieri dal portavoce Ue Margaritis Schinas, il 25 maggio a Bruxelles. Quello stesso giorno è in programma anche un vertice Usa-Ue.
I due esponenti delle istituzioni dell’Unione europea accoglieranno il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in Europa per partecipare a un summit della Nato. Juncker lo stesso giorno riceverà al Barlaymont anche il nuovo presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron.
Insomma gli attori più importanti dello scacchiere mondiale si ritroveranno a confronto con un vero e proprio despota. Un dittatore che ammantato da un’aura di legittimità, derivante dal voto democratico che lo ha prima eletto presidente nel 2014 e poi gli ha conferito poteri assoluti con la riforma del presidenzialismo (passata con il referendum che ha visto prevalere il si con una maggioranza risicata lo scorso aprile) continua la sua opera di radicalizzazione e autoritarismo nella pressoché inerzia della comunità internazionale.