Alla fine, ma a lungo non è stato dato per scontato, l’ incontro tra Trump e papa Francesco c’ è stato. “Rencontre chalereuse”, scrive Le Figaro. Spregiativa l’ interpretazione di Le Monde: “La Famiglia Trump incontra il Papa”. Netta e severa la lettura di Suddeutsche Zeitung. Nella sua Home page pubblica la foto dell’ incontro con questa didascalia: “Trump sorride e mostra i denti. Il Papa resta scettico”. Lasciando perdere le immagini di repertorio, un’ analisi ampia delle foto pubblicate e dei video resi disponibili dai vari quotidiani ci parlano di un incontro che nasce in un clima di tensione e, probabilmente di preoccupazione.
E’ interessante osservare le immagini severe della moglie di Trump, meno abituata del marito a recitare, che mai si scioglie in un sorriso, sorriso che accenna in alcuni momenti senza che mai dia l’ impressione di un dialogo interattivo che si lascia andare alla cordialità sia pure di maniera che abitualmente accompagna le visite di Stato, mai così candide come i mass media spesso tendono a farci credere (la Regina Elisabetta fu larga di sorrisi, ma regalò al Papa del Whisky, certo proveniente dalle sue tenute ma certamente né un sacrificio, né un regalo innocente).
Certamente il Vaticano ha voluto fortemente questo incontro, questa rottura rispetto a condanne nette espresse nel passato sui temi dell’ immigrazione e dei muri da costruire. Nei giorni scorsi “Vatican insider” ha pubblicato un’ intera pagina (forse sollecitata dagli stessi Stati Uniti) in cui vengono descritti tutti gli incoraggiamenti dati dal Vaticano alla richiesta di questa visita. Tra i segnali più forti una dichiarazione dello stesso papa Francesco: “mai dò un giudizio su una persona senza averla prima ascoltata”.
E’ significativo il tempo rigorosamente fissato per questa visita. Un tempo così ristretto da impedire l’ inoltro in contenziosi retorici o in dialettiche polemiche. Trenta minuti esatti, al netto dei tempi necessari alla traduzione, venti minuti. In questo breve periodo di tempo sono state riaffermate le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d’ America, come scrive il comunicato stampa della Santa Sede.
Con forza, dice sempre il comunicato ufficiale, è stato riaffermato il comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza. A questo proposito la diplomazia degli Stati Uniti ha messo a segno un colpo da maestri navigati. Poche ore prima dell’ incontro tra il Vescovo di Roma e il Presidente USA (così si esprimono), il vice Mike Pence ha ricevuto tre Primati delle chiese d’ Oriente per discutere il futuro della Piana di Ninive da poco sottratta al dominio dei Jihadisti dell’ autoproclamato Stato Islamico.
Nel comunicato finale dell’ incontro si dice anche che L’ incontro ha permesso uno scambio (sottolineatura di chi scrive) su alcuni temi attinenti l’ attualità internazionale e alla promozione della pace nel mondo tramite il negoziato e il dialogo interreligioso”.
L’ incontro non va sottovalutato anche per la sua complessità simbolica: la moglie di Trump vestita di nero e con il capo ricoperto da un velo, cosa che non aveva fatto in Arabia saudita. La permanenza a Roma di moglie e figlie per visitare due luoghi di sofferenza, che sentono forte il bisogno di trovare la speranza, qualcuno che sappia chinarsi ul loro dolore, sui torti subiti.
Alla fine, al momento dello scambio dei doni, il Papa ha regalato a Trump una raffigurazione dell’ ulivo e il suo testo sull’ambiente. Trump ha risposto dicendo “Abbiamo bisogno di pace”. Cosa intendano i due per pace se discusso lascerebbe intravvedere che la distanza non è poca ma come afferma un detto cinese: “un percorso inizia facendo il primo passo”. Forse si potrebbe aggiungere un altro proverbio cinese “meglio accendere un fiammifero che protestare contro l’ oscurità”