Un dolore enorme e un vuoto che nessuno potrà mai colmare: questi sono i sentimenti che ci suscita la scomparsa di Valentino Parlato, icona della sinistra, per tanti anni direttore e simbolo di quell’avventura, non solo editoriale, che è tuttora “il manifesto”.
Protagonista di una stagione di lotte e di passioni civili forse irripetibile, Parlato era un intellettuale di frontiera: un mostro sacro del giornalismo, collega, amico e degno erede di Luigi Pintor e di una tradizione della sinistra italiana che ha nel movimentismo e nel carattere indomito i propri punti di forza.
Mi tornano in mente le volte che l’ho incontrato, la sua umiltà, la sua curiosità nei confronti delle giovani generazioni, la sua passione inesauribile e il suo entusiasmo verso qualunque novità: una ricchezza culturale senza eguali, un patrimonio per l’intera politica, non solo per la sinistra, da difendere e preservare.
Mi è venuto in mente anche stamattina, mentre manifestavamo sotto Montecitorio per dire no al bavaglio turco, facendo i nomi dei numerosi cronisti incarcerati nella triste patria di Erdoğan, mentre ci battevamo contro l’ipocrisia di chi si indigna a seconda dell’importanza del soggetto vittima del sopruso, mentre chiedevano tutele e garanzie soprattutto per i giornalisti free lance, per gli ultimi, per i cronisti sottopagati, sfruttati, minacciati e sottoposti a una raffica di querele temerarie; mi è tornato in mente perché sono sicuro che, fino a qualche tempo fa, Valentino sarebbe stato con noi.
Mi è tornato in mente nei giorni scorsi, mentre papa Francesco si recava in Egitto per proporsi come messaggero di pace, affrontando con al-Sisi, a quanto pare, anche lo spinoso caso di Giulio Regeni, in quanto, di sicuro, si era preso a cuore le sorti di quello sventurato cittadino del mondo, il cui scopo nella vita era conoscere, scoprire, far sapere e illuminare a giorno gli inferni del mondo, non a caso accolto dalle colonne del Manifesto, benché preferisse, per prudenza, utilizzare uno pseudonimo.
Mi è tornato in mente nel giorno in cui ricorre il decimo anniversario del fortunato saggio “La casta” di Stella e Rizzo, in quanto la visione politica di Parlato, la sua stessa idea del mondo, la sua concezione ampia e universale di ogni singolo fenomeno sociale era antitetica a qualsivoglia forma di disonestà o di abuso di potere, lui che il potere lo aveva sempre sfidato e contestato, persino all’interno del proprio stesso partito.
Mi torna in mente anche perché sessant’anni fa se ne andava, negli Stati Uniti, un noto persecutore della libertà d’espressione e, in particolare, dei comunisti: il senatore repubblicano Joseph McCarty, al cui nome è legata una barbara e dannosissima dottrina che ha finito con l’avvelenare e con l’impoverire quel paese, indebolendone il pluralismo.
Mi è tornato in mente perché Valentino, con la sua grandezza, è stato capace di riunire tutti questi argomenti, di tenere insieme storie, epoche, pensieri e figure completamente diverse, grazie al suo amore per il giornalismo e per la vita, alla sua concezione del giornalismo come una forma di politica, alla sua battaglia in direzione ostinata e contraria per costruire una società diversa, più libera, improntata a valori opposti rispetto alla deriva liberista e disumana che segna in maniera indelebile questa drammatica stagione.
Per questo ricordare Valentino significa guardare avanti, guardare lontano, volgere lo sguardo al di là della famosa siepe leopardiana e proiettarsi nell’infinito, verso un tempo che può esistere solo se si conserva la forza dell’utopia, solo se si è ancora capaci di sperare, solo se come lui ci si riesce ad appassionare ancora, anche in questa fase di disintermediazione e distruzione della buona politica, persino ad un’assemblea di quartiere, se si ha il gusto dell’ascolto, se si vuole bene al prossimo e si prova sempre a coglierne gli aspetti positivi, solo se si ha la forza di gettare ogni volta il cuore oltre l’ostacolo, fra un pensiero autenticamente rivoluzionario e quel senso della dignità umana che è la base stessa del nostro stare insieme.