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Ospedali israeliani curano e salvano da anni, migliaia di feriti siriani

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Sono israeliana e scrivo da Gerusalemme, dove leggo regolarmente Articolo 21. Israele, il mio paese, viene spesso additato nel mondo come il paese da mettere all’angolo, per prepotenze e soprusi. Chiedo ospitalità per riferire una realtà di grande umanità e solidarietà, che cancella muri e confini: E che quasi non rientra nelle cronache dei mezzi di comunicazioni, oltre frontiera. Una realtà pressoché sottaciuta.

Israele sta curando e salvando da anni, persone del popolo siriano, uomini donne e bambini (il venti per cento sono bambini), gravemente feriti, in quella guerra feroce e maledetta. Guerra che sta decimando la popolazione, distruggendo gran parte del paese, la Siria, paese musulmano, nemico di Israele. Numerosi ospedali siriani bombardati e sventrati anche dal regime di Assad. Parte del personale di quegli ospedali è deceduto nei massacri insieme ai degenti, con i sopravvissuti in parte fuggiti dal paese in cerca di uno spiraglio.

Da diversi anni, attraversando clandestinamente il confine, arrivano in Israele cittadini siriani feriti di guerra, per essere assistiti e curati nei vari ospedali, consapevoli dell’accoglienza a loro riservata, che prescinde da etnie, ideologie, militanze, fedi o quant’altro si possa immaginare. Come riporta pure il giornale israeliano Haaretz, in un articolo del 4 maggio 2017 di Roni Lindner-ganz, uno degli ospedali che dal 2013 accoglie e cura una moltitudine di persone ferite provenienti dalla Siria, è l’Ospedale Nahariya, nel nord del paese, a 10 chilometri del confine libanese.

Questo ospedale – sempre secondo Haaretz –  per l’altissimo numero di persone curate, è oggi un leader mondiale nella cura di ferite causate in guerre. Ad oggi sono più di 1.600 i siriani, per lo più gravemente feriti, giunti nell ospedale di Nahariya, spesso in condizioni disperate, con arti amputati, volti devastati e la mente sconvolta da quelle atrocità che si perpetrano in quel paese martoriato e sfigurato, da troppo tempo ormai.

Un’infermiera dell’ospedale, Smadar Okampo, rivela che il personale medico o paramedico è all’oscuro se la persona giunta da oltre confine sia un civile comune, un combattente ribelle, oppure un militare del dittatore Assad, o un combattente per lo Stato Islamico ISIS. Numerosi, sono ragazzi di 14, 15 anni, che la guerra l’hanno praticata, nonostante siano minorenni.

Indistintamente chi arriva in quel pronto soccorso, ambulatori o sale chirurgiche, riceverà le cure e le migliori assistenze.

Smadar Okampo racconta, che per poter comunicare meglio con i feriti, il personale ha frequentato corsi in lingua araba, nella consapevolezza che parlare ai feriti nella loro lingua sia il primo fondamento per stabilire un rapporto umano basato sulla fiducia. Spesso il menù proposto dall’ospedale non è gradito ai pazienti siriani, abituati alla cucina del proprio paese, e per soddisfare i loro gusti e consuetudini alimentari, quella parte del personale dell’ospedale che e di etnia araba cucina nelle proprie abitazioni il cibo della medesima cultura per offrirlo ai degenti nelle rispettive stanze ospedaliere.

L’Ospedale di Nahariya ha allestito al proprio interno un magazzino dove gli abitanti dei diversi kibbutz della zona, depositano indumenti, scarpe e giocattoli raccolti tra le proprie comunità, per metterli a disposizione della popolazione siriana qui ricoverata. Ciascun degente puo scegliere ciò di cui abbia necessità, e così adulti e bambini potranno portare con sé quel piccolo bene di fraterna solidarietà, al rientro nel proprio paese.
Il personale ospedaliero registra quotidianamente dalla televisione siriana i vari serial trasmessi per metterli a disposizione degli ospiti siriani, nella speranza di far trascorrere loro una serata in compagnia di suoni e immagini, di storie nella lingua di casa.

Il direttore dell’ospedale di Nahariya, il dottor Massad Barhoum, cittadino arabo-israleiano, riferisce che la maggior parte dei siriani curati, chiede di restare nell’anonimato, temendo ritorsioni all rientraro in Siria. Forte è in loro il richiamo delle radici, che li induce a rientrare nelle loro città, paesi, villaggi, fabbriche pur devastati, con la vita perennemente a rischio. Una volta rientrati in patria, nessun oggetto, indumento o medicinale, elemento, portato con sé dovrà ricordare la provenienza dallo stato di Israele. Allo scopo, le etichette dei vestiari e dei medicinali sono rigorosamente tolte, e i documenti medicali vengono scritti in lingua araba o inglese, senza un cenno alla provenienza.

Il dottor Barhoum aggiunge, che dal momento in cui i siriani arrivano in ospedale, non sono piu nemici, e si crea con loro un legame di amicizia e legami emozionali.

Il medico otorino-laringoiatra dell’ospedale di Nahariya, il dottor Eyal Sela, è convinto: se la solidarietà e le cure mediche riservate al popolo siriano, riusciranno a cambiare l’opinione ostile anche di una sola persona qui ricoverata verso Israele, allora sì, sarà egli stesso soddisfatto del proprio lavoro e di quello dei colleghi. “E se – continua ancora il dottor Sela – io curo una persona, o 50 oppure 1.500 e queste tornano poi in Siria, le loro famiglie saranno contente riferendo la solidarietà ricevuta. Se un bambino o nipote chiederà il perché di una cicatrice, gli verrà spiegato che è stato il nemico sionista ha curato la ferita.”

Quando è stato chiesto ai feriti presi in cura nell’ospedale, se avessero un messaggio per il mondo, in gran parte la risposta ha avuto il medesimo tenore: “Tutto il mondo sta guardando la Siria con raccapriccio per quel che sta succedendo lì da noi, ma il mondo fa ben poco per far cessare il terrore. Non abbiamo nessuno che ci aiuti, tranne Dio e Israele. Inshalla, che tutte le nazioni del mondo intervengano per porre fine a questa Guerra”.


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