È difficile estrapolare dati specifici sugli stranieri disabili, perché le statistiche sono generalmente calibrate sull’una o l’altra caratteristica. Si sa che nell’anno scolastico 2013/2014 gli alunni stranieri con disabilità delle scuole statali e non statali, di tutti gli ordini e gradi, sono stati 26.626, il 3,3% degli alunni stranieri totali, l’11,5% degli alunni con disabilità. Nel 2013 gli extracomunitari con disabilità iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio erano 13.108 su 676.775 iscritti complessivi, pari all’1,9% del totale. Di questi il 37,4% sono donne (4.906) (fonte Fish). Sappiamo inoltre che fra gli ospiti dei presidi residenziali socio-assistenziali
e socio-sanitari nel 2012 c’erano 338 minori stranieri (13%), 846 adulti (1,7%) e 278 anziani non autosufficienti (0,1%), mentre si stima che il dato Inps relativo alle pensioni di invalidità civile (12.493) e alle indennità di accompagnamento (6.764) erogate a cittadini extracomunitari sia largamente inferiore al numero reale.
L’occasione per fare il punto sull’argomento è stato il convegno “Disabili & Migranti: alla ricerca di un’integrazione possibile e necessaria”, organizzato in collaborazione dalla
testata online Ghigliottina e da “Moby Dick”, hub culturale del quartiere Garbatella che ha ospitato l’evento. “È un tema importante, ma se ne parla poco e male”, introduce Graziano Rossi, editore della testata, “Va colmato questo doppio svantaggio”, aggiunge Federica Albano, che modera l’incontro. “I migranti non vengono considerati persone con diritti, devono mettersi in regola ed essere in buona salute, con buona pace delle disabilità congenite o risultanti dal terribile viaggio per arrivare in Europa -, commenta Gianluca Gafforio del Coordinamento nazionale rifugiati e migranti di Amnesty International – Italia, che ricorda la
campagna “I welcome” – ci preoccupa l’approccio europeo, che esternalizza il problema stringendo accordi con paesi considerati sicuri come Libia, Turchia o Sudan, il cui accordo è segreto e non ne sappiamo i contenuti”. Come la storia di Selam, diciottenne eritrea, che intraprese il viaggio della speranza per raggiungere la famiglia in Svezia: esplose una gomma del fuoristrada che la trasportava nel deserto, e nell’incidente si ruppe la spina dorsale e fu abbandonata a Tripoli. “Abbiamo provato con l’Ambasciata italiana, l’unica ancora aperta, ma questa ha rifiutato il visto umanitario – racconta Palazzotto – e lei è arrivata con un barcone, ormai disabile per le violenze subite”.
“Se le storie non ci arrivano la responsabilità è dei media – analizza Alberto Spampinato, giornalista e direttore dell’osservatorio
Ossigeno per l’informazione -, l’informazione è una merce, garantita e tutelata come diritto, ma bisogna tenere conto di alcuni fattori: i giornali danno solo versioni emotive dei fatti, come se il pubblico fosse fatto di bambini abituati a caramelle molto dolci, il che non è vero. Ma gli editori sono anche garanti di interessi particolari, non sempre trasparenti, in un paese in cui l’economia è distorta da organizzazioni criminali, e in cui anche istituzioni pubbliche, o di pubblico servizio come quelle di accoglienza hanno un funzionamento spesso illegale. A ciò aggiungiamo le minacce ai giornalisti, che hanno visto un’impennata quest’anno, con 117 episodi nei primi quattro mesi, 46 solo nel Lazio. Dove per non riesce né il pubblico né il privato, il volontariato deve fare qualcosa”.
Chi ha unito pienamente i due temi, in cui emergono la difficoltà di spostamento e le barriere fisiche e mentali, sono i ragazzi della “Comunità XXIV luglio handicappati e non”, de l’Aquila, che hanno realizzato un
documentario che affronta il fenomeno dell’accoglienza dei migranti nei piccoli borghi del centro Italia, “
I migrati”. “il nome della comunità viene dalla data in cui abbiamo fatto la nostra prima gita al mare tanti anni fa – racconta Benito – e abbiamo voluto raccontare le storie di chi arriva dal mare”. “Migrati, migranti, rifugiati, si fa tanta confusione con le parole, proprio come avviene per i disabili, o handicappati – commenta Francesco Paolucci, regista del documentario -, le parole sembrano gusci, bisogna uscirne per raccontare”.