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Messico e nuvole…di spari. Ucciso il giornalista Javier Valdez Càrdenas

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Con l’omicidio del giornalista Javier Valdez Càrdenas a Culiacan, capitale dello stato di Sinaloa, si evidenzia ancora una volta lo strapotere dei cartelli della droga, che dominano in larga parte del territorio, soprattutto nelle città ai confini con gli Stati Uniti e nella capitale Mexico City. Questa tendenza appare irreversibile, e l’impotenza della polizia federale, spesso e volentieri sul libro paga dei boss, eleva il Messico sul gradino più alto del podio, poco edificante, dei crimini e omicidi perpetrati dalle gang criminali; superando, in proporzione al numero dei suoi abitanti, Brasile, Giamaica, Honduras e Colombia, nella graduatoria degli ammazzamenti.

Connivenze intrise di sangue

Càrdenas era il fondatore della rivista Riodoce, in prima linea da sempre nella denuncia dei soprusi narcotrafficanti. Il càrtel de Sinaloa, che lo ha ucciso, è considerato l’organizzazione criminale più potente al mondo, anche secondo il corrispondente di guerra David Beriain, infiltrato per mesi all’interno della banda. Egli racconta, in un’intervista a Huff Post Mexico, il terrore provato durante il suo reportage in incognito. video.webloc
In particolare, Beriain denuncia le connivenze dei criminali con la polizia; riportando un episodio paradossale: durante una ronda notturna dei sicari di Culiacan, il fuoristrada dei criminali viene fermato, con lui a bordo, da una pattuglia. I killers appaiono dai finestrini con i Kalasnikov spianati.

Senza scomporsi, i poliziotti chiedono: “Todo bien amigos? Que pasa?”
I killers rispondono: ”Todo bien, vamos a trabajar”. Andiamo a lavorare. Dopo questo breve scambio di battute, la polizia si allontana.

Il corrispondente riporta anche le entrature dei corrieri della droga, nella dogana al confine con gli Stati Uniti. A fronte di sequestri marginali che sono specchietti per le allodole, il grosso della merce passa indisturbato, così come l’entrata di armi in Messico provenienti dall’altra parte della frontiera. Il 100% degli armamenti delle gang proviene dagli USA, comprese mitragliatrici antiaeree. Beriain ironizza sul fatto che se Trump insiste a erigere un muro lungo i confini, dovrebbero essere invece le autorità messicane a farlo per prime, ai fini di impedire questi traffici, che sono comunque la conseguenza delle richieste da parte dei cugini ricchi. Non solo i grossisti della droga, che hanno clientele importanti, quali attori di Hollywood e politici, ma soprattutto i produttori di armi nordamericani, che hanno l’esigenza di smaltire l’eccesso di produzione, indirizzandola in primis ai cartelli della droga messicani.

Sotto l’egida della National Rifle Association, tutelata da Trump. Alla faccia dei vani tentativi di Obama per mettere un freno alle continue stragi che avvengono negli Stati Uniti. Onde per cui, gli omicidi di quei pochi che hanno il coraggio di opporsi allo status quo, continueranno imperterriti.  Le retate della polizia, si limitano a catturare qualche pesciolino insignificante, i soliti ragazzini, migliori esecutori d’ordini, spietati e feroci quali sanno essere.

Gli unici Boss sacrificati sull’altare dell’apparenza, sono quelli che si mettono di traverso al Sistema. La loro carriera è di conseguenza interrotta dagli stessi confratelli “di sangue”. Ammazzati, o fatti bere dalla polizia, previa soffiata d’obbligo. Duemila armi a giorno, passano la frontiera, dirette dagli Stati Uniti al Messico. 23.000 persone uccise dai narcos, l’anno passato, 63 quotidiane. Il Messico ha sorpassato anche l’Afghanistan, fermatosi a 17.000. Lo supera solo la Siria con 50.000 vittime. L’esercito messicano fronteggia le truppe della droga equipaggiate con lo stesso tipo di armamenti. E’ una guerra interna vera e propria, che il governo di Pena Nieto cerca di coprire “penosamente”, è il caso di dire, a livello mediatico. Càrdenas è il 6° giornalista assassinato nel 2017.

RIP

Il biennio 2014-2015 con 36 vittime tra i media è finora il più sanguinoso, ma quello successivo in corso non sembra da meno. Ricordiamo e commemoriamo in quegli anni i colleghi morti dopo le atroci torture inflitte: Rubén Espinosa Becerril a Città del Messico e Maribel Larrazolo a Ciudad Juàrez. CJ, sita di fronte al confine con la città texana di El Paso, è con Tijuana il crocevia internazionale del traffico di cocaina, con una media annua di 2000/2.500 omicidi, in vetta alla classifica planetaria, alternandosi con Caracas, San Pedro Sula in Honduras, Sao Paulo in Brasile, e Kingston in Giamaica.

Commemoriamo in quel triste biennio, anche Gisela Mota, la giovane sindaca uccisa a Temixco, ammazzata il giorno dopo il suo insediamento, e Aidé Gonzàlez, decapitata per aver denunciato l’infiltrazione nella polizia di membri delle pandillas. Nel link all’interno, la lista dei giornalisti caduti. lista.webloc
Secondo il procuratore Gonzàlez, gli omcidi di CJ sarebbero crollati l’anno passato; dai 3700 circa del 2010, record assoluto, ai 312 del 2016, minimo storico. Cifre tutte da verificare. Il PRI, il partito del presidente, continua a collezionare accuse e inchieste per corruzione, invischiato anche nello scandalo brasiliano Lava Jato, che riguarda le tangenti Petrobras. Una lunga storia, 71 anni al potere, con una breve interruzione, tornato in sella con Nieto nel 2012. PRI, Partito Rivoluzionario Istituzionale. Una sigla che è contraddizione nei termini, cosi come i suoi membri sembrano esserlo per la loro condotta.


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