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Mafia nel sud pontino. Serve un’alleanza civile contro padroni e padrini

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Discutere di mafie e antimafia è sempre importante. Consente di approfondire l’analisi, aggiornare le conoscenze, migliorare le azioni di contrasto nei riguardi di un fenomeno che solo con la partecipazione consapevole dei cittadini e l’impegno concreto dello Stato può essere sconfitto. Affrontare il tema delle mafie e della loro capacità di condizionare settore nevralgici dell’economia e delle istituzioni costituisce sempre una necessità irrinunciabile. Questo è però particolarmente vero in quei territori in cui le mafie sono presenti da decenni e che per anni invece sono stati considerati libera dal fenomeno. Una forma di negazionismo in realtà funzionale al processo di insediamento e radicamento delle mafie in quegli stessi territori. Si è voluta tenere bassa l’attenzione, sminuirne la portata, in alcuni casi si sono anche gravemente minacciati giornalisti, associazioni e politici che invece denunciavano, nel merito, la presenza di una consorteria criminale dentro la quale mafiosi, padroni, sfruttatori, imprenditori collusi e notabili corrotti siedevano dalla stessa parte del tavolo.
Per questa ragione il prossimo convengo organizzato il 01 giugno a Fondi, in provincia di Latina, presso il bellissimo Palazzo Caetani in corso Appio Claudio 11, alle ore 17.30, dal titolo Padrini e padroni nella provincia di Latina – analisi e contrasto alle mafie, organizzato da Reti di Giustizia – il sociale contro le mafie, Tempi Moderni aps e con il patrocinio del Parco Naturale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, è di particolare importanza.

Non si tratta solo di un convegno al quale parteciperanno personalità note del giornalismo, dell’associazionismo e delle istituzioni, impegnate da anni contro le mafie e i loro interessi. È invece il tentativo di coinvolgere la cittadinanza attraverso un’alleanza civile contro la presenza e la prepotenza di padroni e padrini che da decenni sono presenti nel Sud Pontino e hanno fatto di città meravigliose come Fondi, Formia, Gaeta e altre, l’avamposto dei loro affari e traffici. Al convegno parteciperà il Questore di Latina, dott. Giuseppe De Matteis, il sociologo Marco Omizzolo, autore de La Quinta Mafia avente ad oggetto i principali fatti di mafia e le azioni contro la stessa messe in campo negli anni Ottanta, Fabrizio Marras di Reti di Giustizia contro le mafie e Paolo Borrometi, giornalista, collaboratore di Articolo21 e da anni impegnato nella denuncia, attraverso i suoi articoli, degli affari delle mafie nel Mercato Ortofrutticolo di Vittoria. Interverrà anche il responsabile legalità della CGIL di Frosinone e Latina, Dario D’Arcangelis, mentre a moderare è stata chiamata la giornalista de L’Espresso, Floriana Bulfon.
Le mafie nel pontino ci sono da decenni. E non solo alcune mafie. Sono presenti i Moccia, gli Alvaro, il clan Ciarelli-DiSilvio, i Casamonica, i Cava, i Mallardo, i Crupi e molti altri. Chianese era uso trascorrere diversi mesi a Sperlonga nella sua lussuosa villa. C’è il clan dei Casalesi, la mafia siciliana, la ‘ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la Camorra e molte sue costole. E poi ci sono le nuove mafie che sono in fase di costituzione. La provincia di Latina è il luogo in cui ha trovato la morte Don Cesare Boschin, incaprettato nella sua canonica, noto per le sue denunce contro il traffico internazionale di rifiuti che interessava la discarica di Montello, intorno alla quale era certa la presenza dei casalesi a partire da Carmine Schiavone e spesso anche di Francesco Schiavone. E poi del tristemente noto “caso Fondi”, unica amministrazione e non essere stata sciolta per mafia nonostante una voluminosa e dettagliata relazione dell’allora Prefetto Frattasi (2008) e due dichiarazioni favorevoli allo scioglimento dell’allora ministro degli Interni, Maroni (Governo Berlusconi). Fondi e il suo Mof, il Mercato Ortofrutticolo. Una delle realtà commerciali e imprenditoriali più importanti per l’ortofrutta d’Italia e d’Europa. Davanti a quel gigante dai piedi d’argilla si ritrovavano Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, e Nicola Schiavone, figlio di Carmine Schiavone detto Sandokan, tra i fondatori del clan dei Casalesi. Le indagini portarono alla luce il sodalizio criminale tra i casalesi, i Mallardo e i corleonesi per la gestione di vari mercati ortofrutticoli del Sud Italia dalla Sicilia a Fondi. I clan campani fungevano da service per trasporti e logistica mentre i mafiosi siciliani fornivano i prodotti agricoli. E poi soldi su soldi. Le mafie hanno riempito casseforti e armadi di soldi sporchi poi ripuliti attravero attività commerciali e imprenditoriali di varia natura (grandi centri commerciali, piccole attività imprenditoriali, attività di scommesse…). Camion che trasportavano frutta e poi armi e droga probabilmente portavano all’estero anche denaro mafioso, frutto di rapine, estorsioni e traffici illeciti di varia natura. E ancora il ciclo illegale del cemento e dei rifiuti. Ne La Quinta Mafia viene citata la discoteca Seven Up, alcova mafioso espressione di relazioni perverse anche con settori del mondo bancario, tanto da mandare in crisi per dissesto addirittura l’allora Banca Popolare di Gaeta (1983). Le conseguenze sul lavoro dell’agire mafioso sono sempre state drammatiche. Ancora ne La Quinta Mafia viene ad esempio ricordato come già nel lontano 1982 solo nel pontino si contavano 20 vittime di lavoratori deceduti per via di condizioni di lavoro pericolose e ben 3400 incidenti, in alcuni casi anche gravi, avvenuti a danno di lavoratori impiegati in aziende mafiose.
Questa non è solo cronaca. È un metodo mafioso e un processo di insediamento e radicamento che è affaristico ma anche politico. Le mafie comprano non solo il silenzio ma anche il consenso. Migliaia di voti fatti girare, come fogli di carta, da un candidato ad un altro, solo per tutelare i propri affiliati, interessi, affari. E il consenso troppo spesso passa attraverso pericolose frequentazioni tra politici locali e boss mafiosi. A Latina ad esempio alcuni deputati di destra amavano farsi vedere sotto braccio con il boss di turno (vedi clan Ciarelli-Di Silvio). Quello stesso clan che per anni ha “gestito” i suoi affari milionari condizionando direttamente le attività del Latina Calcio. Mafia e sport è un’alleanza che nel pontino vige da anni, spesso con diramazioni pericolose che arriverebbero fino alle istituzioni più alte del mondo del calcio. Riciclaggio, spaccio di droga e ricerca del consenso sono andate sempre a braccetto.
Parlare di mafie nel pontino significa discutere anche di sfruttamento lavorativo e caporalato, con riferimento in particolare ai braccianti soprattutto indiani. Uomini e sempre più anche donne costrette a lavorare 12 ore al giorno per ricevere appena 3,50 euro l’ora. Obbligati a chinare la testa, a chiamare padrone il loro datore di lavoro, a subire ricatti e violenze e a non denunciare quasi mai infortuni anche gravi. La violenza del padrone è del tutto simile a quella del padrino. Una situazione denunciata spesso da In Migrazione e dalla Flai CGIL. Il fenomeno del doping usato dai lavoratori per non sentire le fatiche nei campi è diffuso e drammatico, come anche le violenze del padrone/padrino che agisce con modalità mafiose fino a generare la riduzione in servitù o schiavitù del lavoratore. Anche di questo si discuterà il 01 giugno. Mettere insieme questi due aspetti, senza confonderli ma analizzandoli invece in relazione alle relative interazioni consente di comprendere le modalità proprie di una mafia pontina in fase di ristrutturazione e i suoi vari interessi.
Pochi gli interventi contro il sistema mafioso pontino dei deputati pontini. L’On. Fazzone, ad esempio, membro della commissione parlamentare antimafia, non si è mai contraddstino per un particolare impegno su questo fronte. Neanche quando la commissione antimafia, sollecitata sul tema del caporalato e della tratta in seguito alla pubblicazione del dossier Doparsi per lavorare come schiavi della coop. In Migrazione e in seguito all’impegno dell’On. Mattiello, decise di incontrare le autorità locali in Prefettura. Tutto sotto controllo disse. La mafia c’è ma non crea problemi. Un po’ come quei politici che proprio durante lo scontro istituzionale sullo scioglimento dell’amministrazione comunale di Fondi, definirono i membri della Commissione d’Accesso di quel Comune (uomini delle forze dell’ordine di primissimo livello), “pezzi deviati dello Stato”. Una storia nota.
La storia recente nel Pontino è fatta anche di arresti eccellenti (Cusani ad esempio, ex presidente della provincia e responsabile delle affermazioni sopra menzionate sulla commissione d’accesso al Comune di Fondi), di contrasto giudiziario all’economia mafiosa con il sequestro di numerose loro attività. A queste azioni si somma un rinnovato attivismo sociale e sindacale. Il 18 aprile del 2016 più di duemila braccianti indiani, sollecitati e aiutati da In Migrazione e dalla Flai CGIL, scioperano e manifestarono sotto gli uffici della Prefettura contro lo sfruttamento e la tratta. Migliaia di ragazzi partecipano alla giornata della memoria e contro le mafie del 21 marzo, nelle scuole si entra con maggiore facilità a parlare di questi temi. Nuove amministrazioni governano città da sempre vittime del lerciume mafioso e dei relativi interessi. Latina fa da capofila in tal senso. Buone le aspettative e gli impegni, attendiamo le conferme.
La storia delle mafie e delle sue connivenze nel pontino è però assai lunga e non basta qualche giornata di sole per annunciare una nuova primavera. Di certo, a pochi giorni dai 25 anni dalla strage di Capaci, parlare di mafie e antimafia, di legalità e giustizia sociale, di diritti e di libertà nel pontino è particolarmente importante. Non perché tutto sia stato già fatto, ma perché molto c’è.


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