Vince nettamente Emmanuel Macron e con lui si afferma una certa idea della Francia e dell’Europa. La società aperta, globale e multietnica prevale sul sovranismo anacronistico, su tutti i fascismi, sul razzismo, sulla xenofobia e sulla mancanza di rispetto per i diritti delle minoranze, dunque non si può che essere felici per questo risultato.
Ciò premesso, il trentanovenne Macron, centrista fuori dai partiti tradizionali, anzi candidatosi contro i medesimi e affermatosi nel contesto di una società francese dilaniata dalla crisi, dovrà ora convincere i molti elettori che lo hanno votato per disperazione di aver compiuto la scelta giusta.
Perché Macron ha vinto, attenzione, ma non ha convinto: Macron piace unicamente a quella parte della società, francese ed europea, che si può permettere un personaggio del genere. Piace all’agiata borghesia urbana; piace ai benestanti che abitano nei primi municipi o nelle vicinanze; piace all’élite cosmopolita e ad una certa intellighenzia liberal della quale, probabilmente, anche noi facciamo parte ma per tutti gli altri è pressoché indigeribile.
Macron ha prevalso fra i socialisti perché, ovviamente, non potevano scegliere la figlia di un erede di Vichy nonché riservista dell’OAS e fra i gaullisti perché, ancora una volta, grazie a Dio, ha prevalso il “barrage républicain” contro la barbarie frontista ma non ha esaltato proprio nessuno, se non quella parte di ceto politico ed intellettuale che lo ha scelto sin dall’inizio sapendo che sarebbe stato l’unico in grado di battere con certezza un’avversaria non comune e pericolosa per il futuro della Francia e dell’Europa.
Macron ha vinto perché, per fortuna, i francesi hanno scelto il meno peggio, recandosi in massa alle urne per concedere un’altra occasione, probabilmente l’ultima, ad un progetto che la candidata del Front National vorrebbe tuttora smantellare.
Macron ha vinto, poi, perché l’idea di una società aperta, multiculturale e coraggiosa nell’affrontare le sfide del Ventunesimo secolo ha avuto la meglio sulle scorciatoie reazionarie ed anti-globaliste di un soggetto becero e demagogico.
Macron ha vinto, infine, perché la Francia ha saputo trovare in se stessa la forza di resistere a quelle idee ignobili che avrebbero fatto la fortuna del terrorismo jihadista, esasperando ulteriormente le tensioni e i contrasti che attraversano il paese, scuotendolo nel profondo, come dimostra il risultato inferiore alle aspettative ma comunque piuttosto alto della Le Pen.
Da domani, tuttavia, per il nostro eroe iniziano i guai. Anche l’enarca, infatti, con il suo parlare forbito, il suo vestire elegante, i suoi rapporti idilliaci con le banche e l’alta finanza; insomma, anche il principale responsabile del tracollo di credibilità di Hollande e del suo governo, da domani, avrà bisogno della politica.
E una Le Pen che dovesse trasformare il suo risultato in altrettanti seggi parlamentari, con l’aggiunta di una frammentazione politica senza precedenti che, di fatto, segna l’esaurimento della spinta propulsiva della Quinta Repubblica, basata sull’alternanza fra socialisti e gaullisti, questo contesto liquido e caratterizzato dalla massima incertezza, in cui ogni elezione è un salto nel buio, non agevolerà di sicuro un presidente inesperto e chiamato a non deludere le attese che ha suscitato, avendo oltretutto contro un’opposizione variegata e tutt’altro che arrendevole.
E guai a chi dovesse illudersi che tutti coloro che oggi hanno sostenuto questo tecnocrate dagli occhi di ghiaccio lo stimino davvero: non è così, molti lo detestano, compresa una cospicua parte dei cittadini che, con la morte nel cuore, lo hanno votato solamente per sbarrare la strada all’avanzata del fascismo in Europa.
Da domani, fin dalla composizione dell’esecutivo, Macron dovrà dimostrare di saper coniugare gli interessi delle multinazionali e quelli della povera gente, di saper unire anziché dividere ulteriormente la società francese, di saper tenere insieme una comunità attraversata da molteplici linee di frattura, di saper garantire la sicurezza e l’integrazione, di saper valorizzare adeguatamente gli immigrati e di essere l’uomo giusto per rilanciare il progetto europeo e far sì che torni ad essere un sogno e non un conforto ideale per pochi privilegiati.
Saprà Macron interpretare le ansie, le ambizioni e le speranze del suo popolo e di un’Europa più che mai bisognosa di una classe dirigente all’altezza? Giudichiamolo passo dopo passo, senza fargli sconti ma, al tempo stesso, senza pregiudizi. Avrà un quinquennio per dimostrare ciò di cui è capace. Se dovesse fallire, al prossimo giro, nessuno ci potrà salvare dall’abisso del lepenismo.
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