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Legittima difesa. Lo Stato non può avallare l’ipotesi di cittadini che si fanno giustizia da sé

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La riforma della legittima difesa mi pare un controsenso. Cambia poco o nulla e quello che cambia sarà di difficile applicazione pratica. Credo che, se non modificata come si deve e da esperti della materia, presenti anche alcuni contenuti palesemente incostituzionali. Viene specificato che si considera legittima difesa la reazione a un’aggressione in casa, in negozio o in ufficio commessa di notte o all’introduzione con violenza, minaccia o inganno. Resta comunque ferma la necessità che vi sia proporzione tra difesa e offesa e l’attualità del pericolo. Già oggi si presume che vi sia proporzione se la difesa anche con armi riguarda un’aggressione domiciliare che mette in pericolo la propria o l’altrui incolumità oppure, ma in questo caso solo quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione, se si difende il proprio patrimonio. Nella legittima difesa domiciliare è sempre esclusa la colpa di chi spara se l’errore, in situazioni di pericolo per la vita e la libertà personale o sessuale, è conseguenza di un grave turbamento psichico causato dall’aggressore.

Ho sempre insegnato ai miei studenti che la legittima difesa è una causa di giustificazione che impedisce la punizione di un fatto che comunque costituisce sempre reato. Se non si comprende questo aspetto imprescindibile è difficile comprendere il resto del discorso. Occorre concepire che l’uso della violenza, della forza, è sempre vietato, si tratta di una prerogativa che lo Stato riserva esclusivamente a sé stesso e solo in casi eccezionali e tipici, per esigenze particolari di autotutela. Quando è chiaro che non è possibile un intervento tempestivo dello Stato allora è ammissibile una deroga al monopolio statale dell’uso della forza.

Questa precisazione in uno Stato di diritto è un punto fermo ed inattaccabile pena il venir meno degli stessi principi di civile convivenza di una comunità sociale. In nessun modo lo Stato può legittimare ipotesi di cittadini che si fanno giustizia da sé. Che poi in specifiche situazioni, tassativamente previste dalla legge, lo Stato eviti di punirlo, è ben altro discorso. Sono certo che incitare il cittadino al “far west” ed alla giustizia “fai da te” sia una scelta dissennata. Il cittadino onesto non si deve illudere di poter competere con il delinquente perché è un errore madornale. Non mi piacciono i cittadini-sceriffi che si armano pronti ad ogni evenienza. Bisogna considerare che anche il delinquente si adeguerà a questo rischio ed entrerà in casa pronto a rispondere o peggio pronto a sparare per primo. Incentivare la legittima difesa contro il topo d’appartamenti resta una soluzione incivile, perché di fatto fa scendere il valore di una vita umana al livello dei beni materiali.

La soluzione al problema allora quale sarebbe? Senza dubbio alcuno quella di responsabilizzare lo Stato che sostanzialmente deve fare il suo dovere: da un lato reprimere effettivamente i reati e difendere i cittadini onesti, e dall’altro rimuovere le condizioni di degrado sociale che portano alla delinquenza. Il mio maestro di diritto penale, un certo Giuliano Vassalli, era solito dirmi che armare il cittadino significava segnare la fine del modello rieducativo della pena. Io la penso esattamente come lui. La cultura dell’autodifesa armata non può appartenere ad uno Stato di diritto di matrice solidaristico sociale come spero sia ancora la nostra democrazia.

Vincenzo Musacchio, già Docente di diritto penale presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma


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