Un rapimento transfrontaliero: non c’è altro modo per descrivere cosa è accaduto ad Afgan Mukhtarli, un giornalista investigativo azero in esilio con la moglie in Georgia dal 2015, dopo che si era interessato al coinvolgimento del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev in episodi di corruzione.
La sera del 29 maggio a Tblisi, la capitale della Georgia, Mukhtarli è stato rapito da uomini in borghese che parlavano la lingua locale. I sequestratori lo hanno costretto a salire a bordo di un’automobile e, una volta fuori dai centri abitati, lo hanno pubblicato senza pietà. Dopo due trasbordi, lo hanno portato alla frontiera con l’Azerbaigian, dove è stato preso in consegna dalla guardia di frontiera azera.
Qui, secondo il suo avvocato, gli agenti di polizia hanno infilato nel portafogli di Mukhtarli banconote per 10.000 euro per poi accusarlo di traffico illecito di valuta.
L’Azerbaigian è noto per la persecuzione nei confronti di giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani. Mukhtarli ora rischia di subire torture e di venir incriminato per un reato inesistente. Stavolta, con l’apparente complicità di un altro stato.