Le parole contano. Sono leggere quando lodano, sono macigni quando insultano. Contano al punto che da alcune frasi possono nascere litigi, contrasti, crimini. Per questo parlare di hate speech, “discorso d’odio”, oggi deve essere una priorità. Frasi e strali che incitano alla discriminazione e all’intolleranza su base razziale, religiosa, sessuale, di genere sono all’ordine del giorno, in netta crescita a partire dal 2014 quando l’UNAR, l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali, ha iniziato a registrarne i casi online. Nel primo anno, infatti, sono stati segnalati 270 commenti contenenti espressioni razziste sui social network e sui media. In concomitanza con la “crisi dei rifugiati” il fenomeno è cresciuto a livello europeo, al punto che è stato possibile individuare alcune caratteristiche trasversali di chi tende a commentare e diffondere messaggi d’odio.
Proprio per far fronte ad un fenomeno in crescita, il Consiglio d’Europa, attraverso la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, ha incentivato gli Stati ad agire “vigorosamente” per aumentare la consapevolezza pubblica riguardo ai pericoli derivanti dall’incitamento all’odio e per dimostrare la falsità delle basi su cui questo si fonda e si stabilizza. L’appello, contenuto nella Raccomandazione relativa alla lotta contro il discorso dell’odio del 2015, stimola gli Stati ad agire concretamente affinché ogni forma di discriminazione razziale sia contrastata ed eliminata, coerentemente con il diritto internazionale che tutela i diritti umani.
Sempre a livello europeo è stato adottato, nel giugno 2016, un Codice di condotta UE con l’obiettivo di rendere più veloce ed efficace la verifica dei commenti d’odio. In Italia, l’ente che ha raccolto il testimone della lotta europea è l’UNAR che, nel 2016, ha istituito l’Osservatorio Media&Internet che si occupa proprio del monitoraggio dei casi di hate speech online,. Tuttavia resta critica la sostanziale disomogeneità delle leggi nei vari Stati membri dell’UE, ancora ben distanti da un’effettiva armonizzazione. [Se ne parlerà in un prossimo articolo].
Inoltre, il rapporto #SilenceHate, redatto nell’ambito del progetto BRICkS Against Hate Speech, evidenzia come non vi siano argomenti “sicuri”. Ogni tema può essere oggetto di commenti d’odio, ma quelli che sembrano stimolarlo maggiormente sono gii articoli o i post che toccano l‘emotività e i casi di violenza. Gli strali dell’hate speech sono, generalmente, diretti nei confronti di migranti, stranieri, donne e omosessuali. Il soggetto che esterna il proprio odio online può essere uomo o donna, vivere in qualsiasi Regione d’Italia, ma il sentimento prevalente è la rassegnazione, la rabbia o l’aggressività… Continua su vociglobali