Nella giornata in cui si celebra il World Press Freedom Day trovo giusto ricordare quei colleghi che proprio per esercitare il diritto alla libertà di informazione hanno perso la vita, uccisi mentre cercavano di svolgere il proprio lavoro. Tra questi Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, vittime di un attentato in Ucraina, nei dintorni di Sloviansk, il 24 maggio del 2014.
Nei mesi scorsi abbiamo rilanciato da questo blog l’appello dei genitori di Andy, che continuano a chiedere verità e giustizia per il figlio, morto a soli 32 anni e padre di un bimbo di pochi mesi. E oggi, con la consapevolezza che sia stata compiuta una svolta nell’inchiesta, abbiamo una speranza in più che possa essere fatta chiarezza sulla loro uccisione.
Rocchelli era un fotoreporter freelance, fondatore del gruppo di fotografi indipendenti “Cesura”. Da tempo si interessava delle vicende ucraine ed era stato più volte nel Paese. Aveva seguito anche gli avvenimenti di piazza Maidan, dalle dimostrazioni pacifiche agli scontri del 2014. Con il suo lavoro aveva documentato la repressione cruenta e la fine dell’azione di protesta, con l’autoscioglimento del governo e la fuga all’estero del presidente.
Guida e spalla di Andy in quei luoghi Andrej Mironov, attivista per i diritti umani che aveva collaborato con il gruppo Memorial, fondato da Anna Politkoskaja. Si conoscevano da diversi anni e avevano girato molto insieme nella regione, dalla Cecenia a Mosca, approfondendo aspetti e vicende diverse. E insieme erano partiti dall’Italia diretti in Ucraina, nella primavera del 2015, per il loro ultimo viaggio.
Rocchelli voleva realizzare reportage da Kiev a Donetsk per poi spingersi verso Sloviansk, dove con l’aiuto di Andrej aveva raccolto numerose interviste che raccontavano delle condizioni di vita estrema della popolazione locale.
Le foto dei bunker riattivati e improvvisati per proteggere dai bombardamenti i civili, stipati di bambini di cui molti orfani, ha fatto il giro del mondo, arrivando a essere pubblicate su “The Guardian”. E la sua opera di denuncia e di documentazione di un conflitto cruento e dai lati oscuri non si sarebbe arrestata se quel 24 maggio di due anni fa con altri quattro civili inermi, oltre Mironov e all’autista ucraino viaggiavano sulla stessa auto crivellata di colpi di un commando di cecchini anche un giornalista di nazionalità francese William Roguelon e un quinto uomo incontrato sul luogo morto nell’attacco. Solo Rougelon e il conducente della vettura si salvarono. E proprio il collega sopravvissuto è stato ascoltato il mese scorso dalla Procura di Pavia, che ora si appresta a disporre una nuova rogatoria.
I presupposti, questa volta, affinché l’azione delle autorità giudiziarie italiane non risulti vana sono rappresentate da un passaggio formale della magistratura ucraina, che ha modificato il procedimento d’indagine “contro ignoti” in un atto d’inchiesta nei confronti di un imputato di cui si conoscono le generalità. Si tratta di una svolta importante, un passo – si spera – verso una verità per troppo tempo nascosta.
L’unica versione diffusa dai media ucraini nei giorni immediatamente successivi all’uccisione dei due giornalisti, mai ufficializzata dalle autorità, attribuiva responsabilità dell’accaduto ai “ribelli filorussi”.
Ma a fronte delle nuove rilevanze giudiziarie l’ipotesi più accreditata è quella dell’attacco mirato contro chi stava cercando di documentare i bombardamenti sui civili da parte delle truppe governative. Tesi ritenuta credibile anche da Elisa e Rino Rocchelli.
Per questo, oggi più che mai, bisogna sostenere il loro appello, già raccolto e rilanciato dal presidente della Federazione nazionale della stampa Beppe Giulietti, il primo a riaccendere i riflettori sul caso, e dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani al Senato, che ha presentato un’interrogazione per sollecitare un’azione di moral suasion sul governo ucraino affinché collaborasse per fare piena luce sull’omicidio del 32enne di Pavia e del suo compagno di lavoro e di viaggio.
Anche Articolo 21 sostiene dal primo momento Elisa e Rino nella loro battaglia i quali hanno più volte sottolineato che né loro, né la sorella di Andrea, Lucia, né la sua compagna Mariachiara, sono animati da spirito di vendetta.
Il loro unico obiettivo è il raggiungimento della verità e con essa ottenere giustizia per la morte di Andy e Andrey. E in tanti, tra colleghi e attivisti per i diritti umani, continueranno a sostenerli in questa loro forte e dignitosa battaglia.
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