Quarant’anni dalla tragedia di Giorgiana Masi: la ragazza romana che ci lasciò a soli 18 anni, il 12 maggio del ’77, al termine di una giornata drammatica per Roma e per l’Italia.
Giorgiana Masi era una ragazza che sognava, una ragazza che ci credeva, una tipica ragazza degli anni Settanta che quel giorno era scesa in piazza con i radicali, benché la manifestazione non fosse autorizzata, per celebrare il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. Tre anni prima la conferma di una legge di progresso, tre anni dopo il baratro delle manifestazioni vietate nella Capitale fino alla fine di maggio dall’allora ministro degli Interni Cossiga, fra agenti di polizia assassinati dai manifestanti e altri, secondo i peggiori sospetti, vestiti in borghese e infiltrati proprio dal Viminale all’interno dei cortei. Tre anni e una speranza perduta, una generazione progressivamente scivolata nel gorgo della violenza, una città sotto assedio e una stagione che stava per sfociare nell’orrore della barbarie senza limiti, prima del riflusso, dell’abbandono delle piazze per rifugiarsi nello shopping, della sconfitta della politica, soppiantata dalla finanza e dai suoi innumerevoli tentacoli, dell’avvento del liberismo selvaggio e della società liquida, ossia prima di un’altra forma di violenza e di abisso, meno evidente ma non per questo meno feroce.
Giorgiana Masi si opponeva a tutto questo, Giorgiana Masi capiva, sapeva, era come se vedesse il futuro e volesse contrastarlo, come tutti gli idealisti che tentano di ribellarsi al proprio destino e a quello della propria comunità, salvo cadere sul fare della sera, colpita alla schiena da una pallottola e assassinata prima di compiere vent’anni, prima di volare, prima di raggiungere i propri obiettivi, prima di assistere al fallimento dei suoi ideali e prima di provare a lottare ancora, contro tutto e tutti, con la sola forza del suo coraggio e delle sue idee.
Penso spesso a Giorgiana Masi, al mistero irrisolto della sua morte, al fatto che oggi avrebbe quasi sessant’anni, a quanti episodi della storia di questo Paese si sia persa e a come avrebbe reagito al cospetto della deriva cui stiamo tuttora assistendo.
Penso alle sue aspirazioni tradite, al suo tragico addio alla vita, al fatto che abbia pagato per ragioni più grandi di lei e di chiunque, ragioni impossibili da considerare tali, e alla rabbia che tutto ciò suscita, in questa Nazione ingiusta e profondamente cambiata da allora: in parte in meglio, in gran parte, purtroppo, in peggio.
Dire addio a Giorgiana significò dire addio alle ambizioni e alle prospettive di un’intera generazione, in quell’anno maledetto che non si è mai davvero concluso, fra mille punti oscuri, innumerevoli rimpianti e l’amara sensazione di essere rimasti prigionieri di una storia scritta da altri che ci brucia ancora dentro, come una ruga dell’anima che ormai è diventata un solco, profonda ed insondabile come tutte le sofferenze che non si riescono ad alleviare.