Tu li vedi sporchi, poveri. Ma loro sanno da dove vengono e dove vanno. Sono i migranti, perché tutti siamo in transito in questo mondo e viviamo in un’epoca di grande confusione e perdita di identità, dove è difficile capire davvero chi siamo e dove andiamo. Loro lo sanno, i migranti.Il futuro è migrante. Padre Alejandro Solalinde è messicano. Minacciato dai Narcos. Seguace della teologia della Liberazione. Ha una maglia bianca accollata, l’incarnato scuro, capelli radi e occhiali, un naso tagliente. È arrivato da poche ore in Italia per un lungo giro di denuncia, anche grazie al libro che ha scritto con Lucia Capuzzi, per iu tipi della Emi: I narcos mi vogliono morto.
Qui al festival è seduto alla sinistra di Danilo De Biasio, in un colloquio con Francesco Greco, Procuratore capo a Milano. Un pomeriggio intenso, fra le notizie su narco-clepto-stato del Messico, come lo definisce Solalinde e i messaggi del magistrato milanese che ha approcciato la polemica sulle Ong con una serie di ragionamenti chiari e a stringere: stiamo trattando gli immigrati ormai come oggetti, le venti miglia marina dalla costa valgono per le navi, ma come si fa a lasciare vite in pericolo in mare? E poi alcuni pensieri su un aspetto che ha a che vedere con la credibilità delle Ong e un tentativo profondo di delegittimare un attore che è uno specchio, con buone pratiche del salvare, in cui non cui non ci si vuol specchiare chi cerca alibi per l’ipocrisia del non fare, del dimenticare, del cancellare.
Facciamo un passo indietro: Herat Football Club è il documentario su una squadra femminile di calcio realizzato da Stefano Liberti e Mario Poeta. In sala anche Malalai Joya, la donna politica afghana che si ribellò ai signori della guerra e per questo è stata attaccata con violenza. Li intervista Paolo Maggioni.
Durante l’incontro arriva la notizia da Mediterraneo Downtown di Cospe, a Prato: alcuni fascisti hanno fatto irruzione ed etichettato le Ong come mercanti di morte. Così la nostra solidarietà al Festival con cui siamo gemellati. Il mattino, invece, è stata l’arte la protagonista con tre generazioni a confronto: Michelangelo Pistoletto, Achilleas Souras autore dell’installazione costruita con i giubbotti di salvataggio e presente al primo piano qui in Triennale e Alice Pasquini, street artist e pittrice. E così, dopo il film Soy nero, l’appuntamento è per domenica 7 maggio, ultimo giorno che vedrà la premiazione del Doc Festival.
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