L’Eldorado è apparso ad Antonio Campo Dall’Orto, ma è circondato da un terreno minato. Il pagamento del canone Rai nella bolletta della luce nel 2016 si è rivelato una miniera d’oro per l’azienda radio-televisiva pubblica. La direttrice generale dell’Agenzia delle entrate Rossella Orlandi ha snocciolato i dati boom: il gettito del 2016 è arrivato a 2,1 miliardi di euro; il numero degli abbonati è salito da 16,5 milioni del 2015 a 22 milioni dell’anno scorso. L’evasione del canone, che ha natura d’imposta, è stata drasticamente ridotta: ben 5,5 milioni di italiani sono usciti dal limbo della latitanza televisiva e anche loro hanno pagato 100 euro di abbonamento (erano 113,5 euro nel 2015 e scenderanno a 90 quest’anno). Circa 500 mila cittadini hanno chiesto e ottenuto di non pagare il canone (tra i motivi quello di non possedere un televisore).
Il canone Rai non è una spesa popolare. Molti cittadini, finché hanno potuto, hanno evaso il pagamento quando era volontario; gli altri hanno fatto il loro dovere con un certa stizza, diciamo così, per ciò che appare nei televisori. C’è una quota di utenti con la vocazione ad evadere comunque l’imposta, ma gran parte rifiutava di pagare perché bocciava la qualità del prodotto. È questo il problema centrale anche per i telespettatori che hanno sempre pagato il canone: la foresta pietrificata chiamata Rai.
La promessa rifioritura basata su un’azienda media company non c’è stata (vedi articolo di Sfoglia Roma dell’11 aprile). L’immobilismo perdura da due anni. Antonio Campo Dall’Orto si è insediato nel 2015 come direttore generale della Rai con ambiziosi progetti di rinnovamento e i poteri ampi dell’amministratore delegato (grazie alla riforma voluta da Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio e segretario del Pd), ma finora non è riuscito a cavare un ragno dal buco.
Sia i programmi radio-televisivi sia i notiziari giornalistici non sono minimamente cambiati. Tutte le iniziative abbozzate sono naufragate. Il piano industriale dell’azienda e il progetto di riorganizzazione dell’informazione non sono mai decollati. Sono piovute critiche dalle opposizioni, dall’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) e dallo stesso Pd renziano, sostenitore della scelta di Campo Dall’Orto alla guida dell’azienda. Il rapporto con la presidente della Rai Monica Maggioni sembra divenuto burrascoso. In particolare lo scontro è stato sull’idea di ridurre i canali, di diminuire le edizioni dei telegiornali e di trasferire il Tg2 a Milano da Roma. Il piano di Carlo Verdelli però ha fatto flop. Verdelli, nominato da Campo Dall’Orto direttore editoriale per l’offerta informativa, alla fine ha gettato la spugna e si è dimesso dall’incarico.
Campo Dall’Orto si è trovato sotto il tiro di un fuoco incrociato. Si sono diffuse ripetutamente anche delle voci su possibili dimissioni del direttore generale della Rai, si è ipotizzata la sua sostituzione con il direttore del Tg1 Mario Orfeo. Adesso è sempre più nel tritacarne: gli uomini di Renzi hanno attaccato ripetutamente Campo Dall’Orto. Michele Anzaldi l’ha accusato di “risultati fallimentari”. Il deputato renziano componente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai l’ha paragonato perfino al comandante Francesco Schettino, il capitano della Costa Concordia, la super nave da crociera naufragata sugli scogli dell’isola del Giglio. Renzi la prende alla larga: il canone «continua ad essere una tassa esosa», ma «se combattiamo l’evasione abbiamo i soldi per fare scelte coraggiose».
Quali scelte coraggiose per la Rai? Si prepara un altro braccio di ferro. Campo D’Orto rimane in trincea. Il 22 maggio presenterà al consiglio di amministrazione della Rai una nuova versione del piano industriale e del progetto di riordino dell’informazione. Deve fare i conti con una maggioranza incerta. Non si sa bene cosa proporrà. Si parla di una possibile unificazione tra Rainews24 e la Tgr e del varo di un nuovo giornale web Rai (ora l’informazione digitale è accorpata in Rainews) da affidare a Milena Gabanelli. Gli incontri tra Campo Dall’Orto e l’Usigrai si sono susseguiti tra i contrasti. Il sindacato dei giornalisti Rai ha sollecitato a valorizzare le professionalità interne, a un rinnovamento puntando sulla qualità; ad affrontare il tema della concorrenza e a potenziare gli impegni di servizio pubblico. Gli utenti nel 2016 hanno pagato ben 2,1 miliardi di canone e la Rai ha incassato circa 800 milioni di pubblicità: il rapporto è quasi di tre a uno e impone un forte impegno di servizio pubblico, un’attenzione a dir poco carente.
Fonte: www.sfogliaroma.it