DAMASCO – Le Forze armate statunitensi hanno raso al suolo nelle prime ore di oggi (venerdi’) l’aeroporto militare siriano di Shayrat, da cui sarebbe partito l’attacco con armi chimiche che questa settimana ha ucciso un centinaio di civili a Khan Shaykhun, un villaggio controllato dai ribelli siriani nella provincia di Idlib.
Due cacciatorpediniere lanciamissili statunitensi, l’Uss Ross e l’Uss Porter, che incrociano nel Mediterraneo Orientale, hanno lanciato 60 missili da crociera Tomahawak contro la base aerea del regime siriano. I missili, assemblati da Raytheon, hanno una gittata di mille chilometri, e sono stati massicciamente impegnati dagli Usa in vari conflitti regionali sin dalla prima Guerra del Golfo. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha confermato l’attacco nella notte di ieri dalla sua residenza in Florida, dove ospita il presidente cinese Xi Jinping. “Questa sera ho ordinato un attacco militare di precisione contro l’aeroporto siriano da cui e’ stato lanciato l’attacco chimico”, ha dichiarato il presidente ai giornalisti.
L’attacco missilistico, il primo atto di guerra diretto statunitense contro Damasco dall’inizio della guerra civile siriana, e’ stato lanciato “nell’interesse vitale della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, ha affermato il presidente. La decisione di bombardare le forze del regime siriano rappresenta una svolta radicale rispetto alla linea non interventista espressa da Trump nel corso degli anni, e in particolare durante la campagna elettorale dello scorso anno e i primi mesi del suo mandato presidenziale. L’attacco stravolge anche la politica Usa in Siria della precedente amministrazione Obama, che aveva soppesato un intervento militare contro il regime siriano nel 2013, dopo il primo attacco chimico imputato a Damasco, ma aveva desistito prendendo atto dell’opposizione del parlamento del Regno Unito, cruciale alleato militare degli Stati Uniti. All’epoca, Trump aveva espresso piu’ volte su Twitter la sua contrarieta’ a qualunque coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti nel caotico teatro siriano. L’attacco chimico di martedi’ – sferrato pochi giorni dopo la rinuncia formale della Casa Bianca a perseguire la deposizione di Assad – ha stravolto la linea del presidente.
Il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha frettolosamente organizzato una conferenza stampa in Florida, confermando la drastica inversione di rotta dell’amministrazione: l’attacco chimico, ha detto Tillerson, “viola tutte le precedenti risoluzioni Onu, tutte le norme del diritto internazionale, e tutti gli accordi di lungo corso tra le parti, inclusi quelli col regime siriano, il governo russo, e tutti gli altri membri del Consiglio di sicurezza Onu”. L’attacco, ha aggiunto il segretario di Stato, “richiede una risposta decisa”. Poi un avvertimento alla Russia: “E’ importante che il governo russo valuti attentamente se proseguire il suo sostegno al regime di Assad”. Gli Stati Uniti, ha dunque informato Tillerson, “hanno avviato i passi necessari” a mobilitare una coalizione per rimuovere Assad dal potere; un obiettivo che stando al segretario verra’ perseguito attivamente dopo la sconfitta dello Stato islamico e dei gruppi qaedisti in Siria, per far si’ che il paese ritrovi margini di stabilita’.
L’attacco ordinato dal presidente Usa ha galvanizzato i senatori repubblicani convintamente interventisti, primi tra tutti John McCain, dell’Arizona – che si era recato personalmente nel nord della Siria, il mese scorso – e Bob Corker del Tennessee, presidente della commissione Affari esteri del Senato Usa. “Ho sostenuto con convinzione l’opportunita’ di una azione militare contro la Siria nel 2013, quando venne violata la linea rossa di Obama”, ha dichiarato Cotton alla “Cnn”. “Non siamo soltanto di fronte a un oltraggio morale. Questo e’ esattamente il genere di cose che spinge gli arabi musulmani tra le braccia dello Stato islamico”, ha aggiunto il senatore, commentando l’attacco chimico di Idlib. L’ambasciatrice Usa alle nazioni Unite, Nikki Haley, si era presentata alla riunione del Consiglio di sicurezza successivo all’attacco, mercoledi’ scorso, con le foto di bambini siriani semi-asfissiati dagli agenti chimici, ed aveva accusato apertamente la Russia di promuovere una “falsa narrativa” che imputa l’impiego delle sostanze chimiche non al regime di Damasco, ma ai ribelli islamisti.
Ora che gli Usa hanno aperto le ostilita’ – sottolinea la “Washington Post” – l’incognita piu’ preoccupante e’ rappresentata proprio dalla Russia: una potenza atomica schierata con convinzione a fianco del presidente siriano, e le cui truppe operano sul terreno fianco a fianco a quelle del regime. Alla vigilia dell’attacco missilistico Usa, Mosca aveva avvertito che qualunque iniziativa militare statunitense sarebbe stata accompagnata da “conseguenze negative”: “Dovremmo valutare attentamente le conseguenze. La responsabilita’ dell’avvio di una azione militare ricadra’ sulle spalle di chi intraprenda un’impresa cosi’ tragica e controversa”, aveva dichiarato mercoledi’ l’ambasciatore russo all’Onu, all’Onu, Vladimir Safronkov. I dubbi e i rischi che hanno bloccato un intervento militare statunitense nel 2013, scrive la “Washington Post”, non sono cambiati. Con un’aggravante: oggi “le possibilita’ di una propagazione del conflitto sono decisamente maggiori”.
Secondo il generale John Allen, coordinatore dell’offensiva contro lo Stato islamico in Siria e Iraq durante la seconda amministrazione Obama, una campagna militare statunitense contro il regime di Damasco avrebbe garantito un “impatto decisivo” sulle dinamiche del conflitto nel 2013. Oggi il quadro “e’ molto piu’ complicato”, e gli Stati Uniti “devono porsi una domanda: quanto vogliamo davvero arrabbiarci per questa faccenda? Siamo davvero moralmente sdegnati al punto da intraprendere azioni che potrebbero condurre alla morte di militari russi?”. Altri ex funzionari dell’amministrazione Obama, invece, premono affinche’ la Casa Bianca passi all’azione. “Se non agiamo, stiamo di fatto dicendo ad Assad che i sostenitori del regime possono utilizzare tutto il gas sarin che vogliono”, afferma ad esempio Phil Gordon, direttore per il Medio Oriente della precedente amministrazione presidenziale, che aggiunge: “Assad ha messo alla prova Obama. Ora sta mettendo alla prova Trump”.