Centinaia di rifugiati e migranti africani sono rapiti in Libia per chiederne un riscatto o per essere messi in vendita per il lavoro forzato o lo sfruttamento sessuale. Siamo di fronte a un autentico mercato degli schiavi. E’ quanto emerge dallo sconvolgente rapporto pubblicato in questi giorni a Ginevra dall’Organizzazione Internazionale per l’Immigrazione (Oim).
Accade soprattutto a Sabha, la città del Fezzan che è lo snodo delle principali vie di comunicazione che confluiscono in Libia dal sud, per poi diramarsi verso Tripoli e la costa. Le persone – ha precisato Othman Belbeisi, capo della missione Oim in Libia – sono “offerte” a un prezzo che varia tra i 200 e i 500 dollari per un periodo di 2/3 mesi nei quali restano in completa balia dei compratori. Come schiavi. Di più: Othman Balbeisi ha precisato che uomini e donne “sono venduti apertamente al mercato, come fossero una merce qualsiasi” e che questo giro d’affari dei trafficanti è in continua crescita.
I migranti vengono catturati lungo la strada verso il Mediterraneo da gruppi armati e da quel momento la loro sorte è segnata: gli uomini diventano schiavi per il lavoro coatto; le donne vengono stuprate, diventano schiave sessuali, vengono consegnate ai giri di prostituzione. Chi si rifiuta di pagare il riscatto per riavere la libertà o non si piega a questo girone di schiavitù, viene torturato e ucciso.
E’ un business che si profila come inesauribile: i migranti morti o liberati vengono sostituiti continuamente da altri catturati giorno per giorno. Prigioni improvvisate in garage, capannoni, casolari isolati, ecc. sono piene di questi disperati, sotto il controllo delle organizzazioni di trafficanti. Autentici lager dove le condizioni di trattamento sono disumane. Peggio, un tormento continuo: abusi, soprusi, torture, violenze, stupri scandiscono la vita di ogni giorno. Il cibo è scarsissimo, spesso viene negata persino l’acqua da bere
Il rapporto pubblicato a Ginevra dall’Oim fornisce un quadro terribile, basato su numerose testimonianze e accertamenti condotti sul posto. Una situazione orrenda, ma che conferma l’escalation di orrore già documentata in Libia dai numerosi rapporti che si sono succeduti in questi anni ad opera di numerose Ong e dello stesso Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr). Una situazione, cioè, almeno in parte già nota e alla quale l’Oim ha aggiunto altre pagine importanti, decisive.
Le autorità libiche non possono non conoscere questo stato di cose, ma finora non hanno adottato alcun provvedimento per cercare di fronteggiarlo e porvi rimedio. Nulla lo ha fatto, in particolare, il Governo di Tripoli guidato dal presidente Fayez Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e che anche l’Italia considera l’unico interlocutore valido nel Paese, come dimostra la serie di accordi stipulati nel tempo, fino al memorandum firmato il 2 febbraio scorso a Roma, riconosciuto dalla Ue nel vertice di Malta del 3 febbraio e ribadito nell’incontro del 21 marzo, ancora a Roma. Nulla hanno fatto le forze di polizia che operano sul territorio, a cominciare dal comando di Sabha. Non hanno fatto nulla i capi delle tribù del Fezzan con i quali l’Italia ha ritenuto di sottoscrivere una intesa di collaborazione il 30 marzo scorso in un incontro generale al Viminale. Anzi, secondo ripetute denunce dell’Unhcr e delle Ong, risultano complici o comunque collusi con i clan di trafficanti/schiavisti anche numerosi esponenti dell’apparato statale e delle forze di sicurezza, a tutti i livelli.
La situazione in Libia è certamente la più grave, ma condizioni di estremo pericolo, di sopruso, sofferenze inumane, violazione sistematica dei diritti si registrano, con una crescita esponenziale, anche in altri Stati di transito o di prima sosta dei migranti
– In Sudan il controllo dell’immigrazione è affidato alla Milizia di Intervento Rapido: si tratta dei cosiddetti “diavoli a cavallo”, i reparti speciali che hanno insanguinato la regione del Darfur per anni, provocando centinaia di migliaia di vittime, tanto da procurare al presidente Al Bashir l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Queste milizie, secondo il loro stesso ultimo rapporto, solo negli ultimi mesi hanno arrestato oltre 1.500 profughi, quasi tutti eritrei e in gran parte minorenni, gettati in carcere in attesa di essere rimpatriati di forza, senza tenere conto che, riconsegnati alla dittatura da cui sono fuggiti, andranno incontro a una galera ancora peggiore.
– In Egitto le prigioni sono piene di profughi colpevoli solo di aver passato i confini senza documenti, con la prospettiva di restarci fino a che non pagheranno le spese di rientro coatto nel proprio paese. Rientro che per molti, a cominciare dagli eritrei, implica il rischio di persecuzioni e nei casi estremi della vita stessa. Non solo: al Cairo, Alessandria e in tutte le principali città sta crescendo un clima di ostilità diffusa, che spesso sfocia in episodi di vero e proprio razzismo, costringendo le comunità di migranti a vivere quasi in clandestinità, in pratica senza alcuna possibilità trovare un lavoro, cercarsi una casa, condurre un’esistenza normale.
– In Niger, dove pare si voglia creare il principale polo di concentramento e di smistamento dei migranti in Africa, le condizioni di sicurezza sono a dir poco precarie, come dimostrano i ripetuti attacchi condotti da gruppi di terroristi jihadisti sia legati a Boko Haram che ad Al Qaeda, con incursioni da oltreconfine che hanno investito città, villaggi e gli stessi campi profughi. Non solo: secondo molti osservatori, proprio il Sahel tra il Niger e il Mali sta diventando la principale base di “irradiazione” del terrorismo islamico in Africa..
A fronte di tutto questo l’agenzia Habeshia chiede di
– Esercitare pressioni sul Governo di Tripoli perché combatta ed elimini al più presto il mercato degli schiavi denunciato dall’Oim e, in caso perduri l’inerzia registrata finora, mettere in campo, sotto l’egida dell’Onu, una serie di provvedimenti e interventi che valgano a porre fine all’attuale situazione.
– Sospendere o meglio revocare il recente memorandum sull’immigrazione con la Libia, peraltro già bocciato e dichiarato nullo dalla Corte di Tripoli, perché rischia di peggiorare ulteriormente la già tremenda vicenda di profughi e migranti, bloccandoli in un paese dove il rispetto dei loro diritti è assolutamente aleatorio e dove la loro stessa vita è esposta ogni giorno a pericoli e sofferenze estremi.
– Sospendere o meglio revocare il patto concluso con le tribù del Fezzan, peraltro già rigettato e ritenuto non valido dai vertici più rappresentativi di alcuni dei clan più importanti e autorevoli. Alla luce di quanto sta accadendo, infatti, non è dato avere alcuna garanzia sul trattamento, la sicurezza, la sorte dei migranti eventualmente intercettati e bloccati da queste tribù.
– Sospendere tutti i rimpatri forzati (che il recente decreto Minniti prevede invece di moltiplicare) sia verso l’Asia e il Medio Oriente sia verso l’intera Africa, ma in particolare verso la Libia. La formula del “paese sicuro” che è alla base di questi rimpatri/espulsioni, infatti, è quanto meno aleatoria e approssimativa.
– Ripensare radicalmente la politica sull’immigrazione. Ovvero:
A) Sospendere o meglio annullare accordi come i Processi di Khartoum e di Rabat, i trattati di Malta del novembre 2015 e tutti i patti bilaterali che ne sono conseguiti per l’attuazione concreta, come, ad esempio, il patto di polizia firmato a Roma con il Sudan il 3 agosto 2016 o, appunto, il recente memorandum con la Libia. Lo stesso vale per l’accordo con la Turchia in vigore dal marzo 2016.
B) Istituire canali legali di immigrazione verso l’Europa, a cominciare da facilitare il ricongiungimento famigliare, rilascio di visti umanitari, e una serie di corridoi umanitari e attuare un concreto, efficace programma di reinsediamento
C) Impostare un sistema di accoglienza e di asilo unico e valido in tutta la Ue, superando di conseguenza l’attuale Regolamento Dublino 3
D) Abbandonare il progetto del Migration Compact che, secondo varie fonti di stampa, l’Italia intende rilanciare in occasione del G-7 di Taormina e fare invece proprio del G-7 l’occasione per una nuova politica globale sul problema enorme di rifugiati e migranti, abbandonando per sempre la logica dei muri e delle barriere e affrontando invece alla radice le cause dell’esodo di milioni di persone.
Appare necessaria, in questo senso, una strategia basata su tre punti:
– Prevenire: il divampare di guerre e conflitti, dittature, carestie e disastri ambientali ect …
– Proteggere: I profughi vanno protetti nei paesi di transito e di prima sosta, offrendoli condizione di sicurezza e una vita dignitosa.
– Accogliere: chi si trova in una situazione di vulnerabilità a causa di guerre, dittature, persecuzioni, sconvolgimenti dovuti a carestie e calamità naturali, condizioni di diffusa ingiustizia sociale ed economica.
Habeshia chiede con forza che il G-7 adotti questa strategia.
Don Mussie Zerai (Presidente dell’Agenzia Habeshia)
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