Non sarà fra gli anniversari più celebrati dell’anno quello dei 50 anni dalla pubblicazione di “Lettera a una professoressa” e dalla morte di Don Lorenzo Milani. Eppure Don Milani è stato uno dei veri grandi personaggi italiani del Novecento, almeno per chi crede ancora nella cultura come conoscenza e formazione, in grado di dare dignità agli uomini, soprattutto se essi sono “gli ultimi” della società. In questi giorni, intanto, esce il nuovo libro di Michele Gesualdi, il primo alunno di Barbiana.
Lorenzo Milani Comparetti, uomo di famiglia borghese e benestante, convertitosi al cattolicesimo nell’adolescenza, ebbe il coraggio di scegliere proprio gli ultimi, i non garantiti, che allora erano i contadini, gli invalidi, i malati, i poveri di un’Italia che stava conoscendo gli anni del boom economico ma che divideva ancora i cittadini in classi. Leggere oggi come vivevano nella meravigliosa Toscana i figli dei contadini nei primi anni ’60 susciterebbe incredulità, se non fossero esattamente le stesse condizioni in cui oggi vivono, anche nel nostro paese, gli immigrati. Senza luce, senza gas, senza acqua, senza scuola.
Don Milani, variamente interpretato nel corso degli anni, a volte ritenuto il maggior precursore del ’68, per alcuni santo, per altri eretico, ci ha lasciato insegnamenti di costante attualità. Scrisse a Ettore Bernabei, direttore generale della Rai: “Io sono sicuro che la differenza fra i miei ragazzi i vostri non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. I tesori dei vostri figlioli si espandono liberamente da quella finestra spalancata. I tesori dei miei ragazzi sono murati dentro per sempre e isteriliti. Ciò che manca ai miei è dunque solo questo: il dominio della parola”. Cioè la cultura, il sapere, il vero strumento dell’eguaglianza e dell’emancipazione.
Nel corso di questi mesi (l’anniversario della morte di Don Milani ricorre il 26 giugno) cercheremo di ospitare commenti e interviste su questa figura straordinaria, che identificò nel conoscere e nel saper comunicare il valore universale dell’uomo, al di là della propria fede religiosa, che peraltro in lui fu fortissima e tenace.
Abbiamo parlato di Don Milani con Paolo Landi, che arrivò a Barbiana a metà degli anni ’60 (nella foto inedita è quello accovacciato), per diventare in seguito una importante figura del sindacalismo, nella Cisl e in Europa, e nel consumerismo, come segretario dell’Adiconsum e ora presidente della fondazione Consumo Sostenibile.
Quanto è attuale l’insegnamento di Don Milani nella società di oggi e nella chiesa di papa Francesco?
A chi gli chiedeva come faceva a fare quella scuola nella realtà di Barbiana, Don Lorenzo rispondeva che la domanda era sbagliata, perché bisogna chiedersi come bisogna essere. E aggiungeva, bisogna essere schierati, dalla parte dei più deboli, dei non tutelati da nessuno, bisogna avere una ardente volontà di incidere, di modificare la realtà, bisogna essere di esempio rispetto alle cose che sosteniamo, essere disponibili a rischiare, ad andare contro corrente, rimboccarsi le maniche e partire anche dalle piccole cose, queste sono le fondamenta dell’essere e da questo bisogna partire. Oggi la politica ha perso ogni credibilità perché nessuno si comporta in modo coerente con quello che dice, il messaggio attuale è che per essere credibili devi dimostrare con i fatti quello che sei, quello che fai. La coerenza a tutti i costi, a qualunque prezzo, e due architravi su cui basare le fondamenta del nostro essere, il Vangelo e la Costituzione Italiana. Un esempio oggettivo di questo ragionamento è quello che è accaduto in occasione della celebrazione per la fondazione della Comunità Europea a Roma, con i grandi della UE che si muovevano nella totale indifferenza dei mentre, nelle stesse ore, si vedeva la grande partecipazione, l’entusiasmo e la folla a Milano per un Papa che si presentava come prete, come chi si muove in coerenza con quello che dice, va dai più poveri, dai carcerati, dai malati. Francesco, insomma, è uno che vuole essere, mentre dall’altra ci sono i politici chi hanno solo interesse ad apparire. Questa differenza – cioè il valore della testimonianza – è la grande attualità del messaggio di don Lorenzo. Se poi vai a scavare, tu trovi che la politica predica tante cose e ne pratica pochissime, questo Papa invece quello che predica lo vive e il messaggio che sta dando è del tutto diverso rispetto a quello degli ultimi 30 anni.
Essere schierati per chi fa politica è importante ed è discriminante, ma il modo e il senso dello schierarsi cambia nel corso della storia.
Ovviamente. Al tempo di don Milani gli ultimi erano i contadini e gli operai, oggi sono gli immigrati, le situazioni cambiano nei periodi storici, ma resta un altro elemento di autentica attualità ed è la scuola come strumento di elevazione sociale, il concetto che è stato al centro dell’insegnamento di don Lorenzo, il sapere per crescere, il sapere per interrompere lo sfruttamento dei privilegiati sui meno fortunati. E se è vero che nessuno riforma se stesso, non si può pensare di partire dagli insegnanti per cambiare la formazione scolastica. Il senso della scuola di Barbiana, che don Lorenzo applicava in ogni attività, in ogni momento della giornata, era che le riforme vanno fatte su misura del servizio che la scuola deve offrire e quindi sugli allievi, sui ragazzi, loro, nella scuola, sono il centro e l’unico obiettivo del servizio.
Pensi che alcuni degli obiettivi della scuola di don Milani siano stati raggiunti?
Ovviamente oggi la scuola dell’obbligo non è più un obiettivo della società, è stato raggiunto, la frequentano quasi tutti, in parte lo si può dire perfino dell’università. Anche se certi dati recenti sulla frequentazione delle superiori mettono in luce che si sta tornando ad una relegazione dei figli degli operai e dei semplici impiegati agli istituti tecnici e professionali, mentre nei licei ci sono in maggioranza i figli delle classi più alte, dei professionisti, dei dirigenti, degli imprenditori. In ogni caso è ancora una scuola che non insegna a essere critici, ad essere cittadini responsabili, non dimentichiamo che per don Lorenzo esistevano due capisaldi nella vita, il Vangelo e la Costituzione. Non c’è stata evoluzione sul piano culturale ma solo un’evoluzione di partecipazione. La scuola come parola non ha fatto molti passi avanti. Un altro insegnamento che credo abbia ancora valore e che per me è stato il faro sulle scelte nel sociale, è quello che la legge è giusta se è a supporto del debole e quella ingiusta è quella che agevola la sopraffazione sul più debole. La legge deve essere semplicemente giusta per tutti. Don Lorenzo insegnava che fare misure uguali fra diseguali non è giustizia ma la più subdola delle ingiustizie. Pensiamo allora alla politica dei provvedimenti a pioggia uguali per tutti, sia nel prendere che nel dare, possiamo parlare di leggi giuste?
Tu hai partecipato alla stesura dei testi sulle lettere?
Ho partecipato molto alla stesura della lettera ai cappellani militari, la pietra miliare dell’obiezione di coscienza, ed erano occasioni per fare scuola e analizzare la storia, ad esempio quella ai cappellani analizza tutte le guerre recenti, dando un senso difensivo, come prevede la Costituzione, solo a quella della resistenza, che peraltro i cappellani contestavano. Parliamo di 50 anni fa, la guerra era finita da 20 anni, ma la situazione era questa. Lui sosteneva che quando la legge è sbagliata occorre rimboccarsi le maniche per cambiarla, gli strumenti sono il voto, la parola e lo sciopero, e, quando è necessario, violare la legge con una obiezione di coscienza per ottenere una legge migliore. E sappiamo quanto questa posizione fu osteggiata!
La lettera alla professoressa è un po’ la summa di tutti questi concetti, era ed è un’analisi sulla situazione della scuola che metteva al centro gli insegnanti e non gli allievi ed era un invito ai genitori e ai ragazzi a organizzarsi loro per migliorarla, ma sempre in rapporto alle differenze fra i singoli allievi. Lui credeva che ogni scolaro potesse avere un suo differente percorso per diventare un cittadino consapevole e responsabile. Cittadini che saranno anche in grado di fare politica, ma politica dei fatti, cittadini che non daranno ascolto alle promesse (“la demagogia porta facili consensi ma non risolve alcun problema”) ma vorranno giudicare solo dai fatti, cittadini sempre in grado di essere critici e propositivi.
Il lavoro collegiale sulle lettere è un’esperienza che insegna l’arte dello scrivere, per don Lorenzo significava esprimere un concetto universale con il minimo dei mezzi e il massimo di efficacia. Noi abbiamo avuto una corrispondenza intensissima negli ultimi mesi della sua vita, quando io ero andato in Inghilterra e lui era molto segnato dalla malattia e fino all’ultimo ho sentito la forza del pensiero dell’uomo che pensa all’essere, che vuole essere un esempio di coerenza per gli altri.
Papa Francesco e Don Milani, sembrano esserci molti punti di contatto…
E’ sempre il modello fondato sulla coerenza che ritorna. E’ questo che rende simili Papa Francesco e Don Lorenzo. Questo papa ha focalizzato la sua attenzione su cose concrete, che sono parte integrante dell’essere, del fare e non dell’apparire. Penso all’enciclica sull’ambiente – un dramma del nostro tempo che rischia di aggravarsi con le politiche scellerate di tanti paesi- su cui ha parlato chiarissimo.
La seconda cosa che sta mettendo a fuoco è questo modello economico dominante che fa arricchire i ricchi e impoverire i poveri, e contiene in se un grande pericolo, perché la forma più drammatica di impoverimento è la perdita del lavoro. Da questo modello produttivo che è la globalizzazione i lavoratori non si sentono protetti e la politica, anche europea, è stata troppo condizionata dagli interessi finanziari e commerciali. I cittadini quindi si rivolgono ai movimenti populisti di qualunque genere.
Io continuo a sostenere che questo modello è basato sul dumping sociale, per pagare meno i lavoratori, su un dumping ambientale, per smaltire e inquinare elidendo le norme ambientali, e su un dumping fiscale, che permette al valore aggiunto di restare nei paradisi fiscali. Questo significa che il modello di sviluppo basato su questo tipo di globalizzazione sta mettendo in crisi il sistema del lavoro e rischia di determinare la distruzione del welfare. Così lo percepiscono cittadini e consumatori: questo i popoli europei non sono e non saranno in grado di sostenerlo, e l’unica soluzione è riportare – come dice il Papa – al centro l’uomo, il lavoratore, sia esso allievo, sia esso lavoratore, sia esso cittadino, sia esso consumatore. Questi sono stati i valori fino ai primi anni 2000, anche all’interno delle istituzioni comunitarie, poi tutto è cambiato e l’unico valore è diventato il mercato e il business finanziario e commerciale. E la situazione che viviamo adesso è il frutto avvelenato di questo cambiamento di rotta, contro il quale si leva solo la voce di Papa Francesco. Nessun economista oggi, neanche quelli molto dubbiosi sul modello scelto di globalizzazione, hanno il coraggio di parlare con chiarezza. Qualche accenno, mezze frasi. Francesco invece testimonia in modo chiaro, semplice, concreto, di pensare all’ “essere” proprio come Don Lorenzo insegnava ai suoi allievi. E questa scelta del Papa sta riportando in chiesa interi pezzi di popolazione che se ne era allontanata e laici che non credono ma in lui si riconoscono.