L’umanità in Siria è morta da tempo. Non serve avere la conferma che nell’attacco che ha causato 60 morti a Khan Sheikhun, nel governatorato di Idlib, siano state usate armi chimiche. Le immagini che da lì ci arrivano, più agghiaccianti che mai, sono la prova inconfutabile che un nuovo, ennesimo, crimine contro l’umanità in questo Paese dilaniato dalla guerra che ha causato 470 mila vittime e costringe 5,8 milioni di bambini a vivere sotto i bombardamenti, è stato compiuto e ha colpito i civili, tra cui tanti, tantissime piccole vittime, con crudeltà inaudita.
Denunciamo da tempo che la vicenda siriana si trascina, a causa della difficoltà di affrontare la situazione, in un contesto di inadeguatezza e, soprattutto, inazione.
Non abbiamo fatto in tempo a dimenticare l’assedio di Aleppo che le immagini dei civili in fuga dal nuovo fronte siriano ancora una volta hanno risvegliato ipocritamente l’indignazione globale. Eppure l’immobilismo e lo stesso. Quell’ atteggiamento di ignavia che ha lasciato ampio margine al governo di Assad di lavorare contro l’interesse della pace mettendo in campo nuove ciniche azioni che tutto hanno tranne il profilo della responsabilità di proteggere il popolo siriano, la sua gente. Anzi. Se le accuse rivolte a Bashar dell’uso, ancora una volta, di armi chimiche – che lui e l’esercitano negano – saranno suffragate da prove la comunità internazionale perderà definitivamente la faccia.
Le immagini atroci che testimoniano gli errori di Idlib non solo sollecitano urgentemente una presenza europea, che oggi condanna come mai prima quanto avvenuto nelle ultime ore, ma un intervento diplomatico forte, autorevole, che con una voce univoca riesca a tracciare un percorso che porti al più presto alla fine della guerra, tutelando i civili. E ciò non può prescindere dal deferimento alla Corte penale internazionale dei responsabili di tutti i crimini contro l’umanità commessi nel conflitto siriano.
Ma a leggere le dichiarazioni contraddittorie di esponenti autorevoli degli Stati Uniti, uno dei Paesi che possono davvero determinare le sorti della Siria, questo percorso appare ben lontano dall’essere intrapreso. Se dalla Casa Bianca in un primo momento, poco dopo la divulgazione delle notizie sull’ultimo attacco delle forze governative in Siria, facevano filtrare che “la cosa migliore nell’interesse del popolo siriano” fosse che Assad non governasse più il Paese”, contravvenendo a quanto affermato solo la settimana scorsa, dal segretario di Stato Rex Tillerson prima e dall’ambasciatore Usa all’Onu, Nikki Haley poi, ovvero che la “rimozione di Assad non era una priorità dell’amministrazione Trump”, meno di un’ora dopo tornava su queste posizioni escludendo un cambio di regime e affermando, attraverso il portavoce del Presidente, Sean Spicer, che il governo di Assad è una ”realtà politica fondamentale”.
Ci sarebbe da ridere amaramente se non fossimo a cospetto di una situazione ormai oltre l’inferno, come denunciato da Unicef e Save the Children. Le ong che si occupano della protezione e della tutela dei diritti dei minori coinvolti nel conflitto evidenziano come le decine di corpi senza vita di quei bambini uccisi dai gas a Idlib siano la testimonianza che “siamo di fronte ad un orrore che è quello già visto nei campi di concentramento nazisti”.
Di fronte a tutto questo non si può più voltare lo sguardo. Non si può rimanere in silenzio.
Per questo sosteniamo l’appello lanciato dalle organizzazioni umanitarie alla Comunità internazionale affinché intervenga concretamente, subito, o sarà complice di di quanto sta accadendo. O meglio continuerà a essere tale.