C’ è qualcosa di amaro nella prossima Pasqua, la quinta del suo pontificato, alla vigilia di un viaggio in Egitto che si preannuncia come una speranza, una solidarietà ai martiri cristiani della Chiesa copta, la speranza di aprire un pertugio di dialogo nel mondo dell’ Islam, ma anche dove sarà possibile misurare l’ odio e la minaccia verso chi non porta l’ arroganza ma un grande servizio di pace, di autorità morale in una società, quella globalizzata e senza confini, che si trova ad essere dilaniata dal’ intolleranza, vittima della terza guerra mondiale a pezzi, dove la speculazione, una perversa ambizione alla conquista del potere è perseguita, costi quel che costi, considerando niente la vita umana. Di più: meno di niente. Carne da macello, si diceva un tempo. Mai come in questo tempo, è tragicamente viva la metafora biblica di Mosè che scende dal Monte Tabor con le Tavole della legge. Le Tavole sono chiare, precise, puntuali, ma non interessano al suo popolo chiuso nell’ adorazione del vitello d’ oro.
Questa metafora, in qualche modo, è anche una risposta ai Cardinali che hanno indirizzato al Papa i loro “dubia”. E’ inutile avere le tavole della Legge, la chiarezza dei principi, tanto agognata dai cardinali che vivono nel paradiso del Vaticano, se tutto intorno infuria il regno della speculazione, dell’ arricchimento di pochi, dello scarto dell’ umanità, della violenza sull’ umanità. Viviamo in un periodo in cui i vitelli d’ oro, i falsi idoli, si sono moltiplicati a dismisura fino ad entrare in guerra tra loro stessi, creando una confusione tale, una babele tale, che ormai è difficile dare un nome alle cose, capire perfino dove sta il bene e dove sta il male, chi ha ragione e chi ha torto, quanto torto e quanta ragione. In questo deserto morale anche la pietà è morta. L’ orrore ha perso ogni misura. Oggi forse capiamo meglio perché l’ attacco all’ albero della conoscenza suscitò così forte l’ ira del Signore del cielo e della terra, le conseguenze che ne derivarono. Non solo la cacciata di Adamo ed Eva, ma Abele e Caino, due fratelli dove uno ammazza l’ altro. A questo porta la distruzione dell’ albero della conoscenza, la distruzione della capacità di distinguere il bene dal male.
I Cardinali che vivono e si compiacciono dei “dubia” lamentano mancate risposte, angosciati dal dibattito sull’ indissolubilità del matrimonio, dubbiosi “sulla giusta disposizione per ricevere la Santa Comunione” (Card. Raymond Burke). La risposta di Papa Francesco è chiara: dà una gerarchia ai problemi da affrontare. Lo dice chiaramente nell’ intervista concessa a Repubblica: “Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’ abbandono dei più fragili. A farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi.”
Oggi il vitello d’ oro è la vendetta, l’ annientamento di singoli e di intere popolazioni, l’ arricchimento privo di confini e di scrupoli, il potere non più inteso come servizio ma come perversa affermazione di un dominio pago di sé stesso e della distruzione dell’ altro.
Questa, per Francesco, è una Pasqua amara anche perché certo non gli sfugge l’ ostilità di molti confratelli nel sacerdozio e nella fede. Le stesse ostilità che ha trovato il Concilio Vaticano II, che il Vaticano ha subito obtorto collo e subito si è preoccupato di ridimensionare inventandosi la storia di una corretta lettura, cioè un ridimensionamento di ciò che i Padri conciliari avevano affermato in nome di un’ ermeneutica spesso fasulla e conservatrice estranea ai problemi posti dai “segni dei tempi”, a ciò che lo Spirito Santo aveva rivelato.
Non è la prima volta che Papa Francesco, accusato di rompere con la tradizione, si rifà con puntualità, naturale e certo non improvvisata, al Concilio e a Giovanni XXIII. Lo fa anche nell’intervista concessa a Repubblica ricordando un episodio che già l’ anno scorso Articolo 21 aveva sottoposto all’attenzione dei propri lettori: Papa Roncalli, è mons. Casaroli, a dircelo, al termine di colloqui importanti, prima che il Cardinale lo lasciasse, gli chiedeva: Eminenza segue sempre quei giovani? Casaroli seguiva e assisteva i ragazzi che si trovavano in un carcere minorile. Nel citare questo episodio molto chiarificatore, Articolo 21 aggiungeva anche che era un modo di dire, e di affermare, da parte di Papa Roncalli, “abbiamo affrontato questioni importanti per la vita della Chiesa, ma ti ricordi che sei soprattutto un sacerdote, un pastore d’ anime, che sei al servizio delle persone più fragili?”.
C’ è un altro episodio ricordato da Mons. Casaroli che forse potrebbe essere utile per Papa Francesco. Quando Casaroli, rompendo un muro che per decenni era sembrato invalicabile, andò a Mosca. Appena ritornato non perse un minuto, corse in Vaticano a riferire l’ esito di quei colloqui, a Papa Roncalli. Parlarono a lungo e poi si salutarono. Quando Casaroli era sulla porta Papa Francesco lo richiamò indietro e gli disse: “Eminenza, mi raccomando, non abbia fretta”. Aveva capito che l’ entusiasmo poteva spingere ad affrettare i tempi, ma anche che la fretta avrebbe potuto rovinare tutto”.
Chissà quante volte, Papa Francesco, pensando ai suoi confratelli, alle loro lotte ormai neanche più intestine, alla guerra che gli veniva fatta, fiducioso nello Spirito Santo, non si sia detto: “Francesco, mi raccomando, non avere fretta”.