G8 Genova. Dopo il “patteggiamento” non si torni indietro. Si approvi la legge sulla tortura

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“Con l’accordo, si legge nelle decisioni della Corte, il governo afferma di aver «riconosciuto i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l’assenza di leggi adeguate. E si impegna a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura». Inoltre, nell’accordo il governo si impegna anche «a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine». E propone di versare ai ricorrenti 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e per le spese di difesa. In cambio i ricorrenti «rinunciano a ogni altra rivendicazione nei confronti dell’Italia per i fatti all’origine del loro ricorso».

Così dalle agenzie e dai media di ieri. Il “patteggiamento” davanti alla Corte europea dei diritti umani pone un primo punto fermo dal quale, finalmente, non tornare più indietro. Il reato di tortura va codificato e sanzionato perché a Genova-Bolzaneto nel carcere provvisorio nella caserma del Reparto Mobile (primo e unico avvenimento di questo tipo dalla liberazione a oggi a fronte di una previsione alla vigilia del G8 di “non meno di 600 arresti” come descrissero i documenti dell’epoca) nei confronti degli arrestati furono messe in atto umiliazioni fisiche e psicologiche (con il coinvolgimento anche di medici), lesioni, violazioni dei più elementari diritti delle persone in parte già “vessate” al momento dell’arresto o del fermo. Il patteggiamento è stato, forse, una scelta anche economica per evitare sanzioni più gravi e un vincolo più stringente sull’applicazione e definizione del reato di tortura ne codice penale italiano, senza dimenticare che nelle cause in corso di fronte al tribunale civile di Genova non c’è ancora stata una definizione dei danni e del loro risarcimento, patiti dai fermati, arrestati, denunciati durante il G8 del 2001 a Genova. E questo non fa dimenticare come la netta maggioranza dei manifestanti, al netto di qualche improvvida decisione sui cortei e loro gestione da parte dei vari rappresentanti del variegato e cd movimento no global, sia stata pacifica, abbia subito sia le violenze dei cd black bloc sia delle forze dell’ordine che, per esempio, caricarono in piazza Manin il gruppo delle mani bianche (scout, religiosi, giovanissimi e giovanissime manifestanti) pacificamente riunite in quel luogo.

Dice l’avvocata Laura Tartarini che si tratta di una “cifretta” quella del risarcimento perché i 6 dei 65 ricorrenti che hanno accettato il patteggiamento pur non avendone fatto una questione di soldi, non potevano più permettersi a livello materiale e psicologico, di proseguire nella causa perché queste costano al di là dell’impegno spesso militante di molti legali dei giuristi democratici e dell’allora Genoa Legal Forum. Ma l’accordo non chiude certamente la questione. E, se possibile, alimenta nuove polemiche.Ancora l’avvocata Laura Tartarini spiega come siano ” passati 16 anni e non mi stupisco che alcuni di loro decidano di accettare l’offerta. Ma lo Stato si sta comportando in modo davvero poco consono, tanto che gli accordi in sede civile davanti ai giudici di Genova ancora non si trovano. Questo accordo certo non rappresenta una soddisfazione morale».

Cosa farà ora la politica? Seguirà la tesi del presidente della Sampdoria, che ha patteggiato una pena per un fallimento di una sua società e viene dichiarato decaduto dalla carica dalla federcalcio, ma si oppone dicendo che il patteggiamento non è una condanna? L’esempio calcistico serve, perché un patteggiamento secondo il codice, se non erro, è una applicazione concordata della pena. Lo Stato italiano, quello si presume con la S maiuscola, riconosce quanto accaduto tanto da impegnarsi a fare pure corsi di formazione sul tema agli operatori di ordine pubblico e delle forze di polizia più in generale? Ma sino a oggi allora quale tipo di formazione veniva diffusa ai suoi uomini e donne? Quella costruita con istruttori made in Usa a Ponte Galeria prima del G8 e delle vicende di Napoli che anticiparono di qualche mese il modello operativo applicato a Genova?

Dubito che i tempi, ma soprattutto la sostanza della politica di oggi (fatte salve alcune onorevoli eccezioni) ponga nella sua cd agenda, in tempi rapidi, il tema. Vale forse la pena di ricordare i peana bipartisan di fronte alle assoluzioni, in alcuni casi ribaltate con condanne in appello e confermate dalla cassazione? La procura di Genova ricorse fino alla cassazione contro l’esclusione di tortura dal caso Bolzaneto, certamente non previsto dal nostro codice, ma comunque definibile come concetto nelle motivazioni delle sentenze. Eppure il caso Genova non è il solo: la drammaticità ed estensione dei fatti di quel giorno hanno eco ancora oggi dopo 16 anni, ma quanti altri casi meno forti numericamente ma ugualmente drammatici esistono o sono esistiti? I casi Uva, Cucchi e altri sono già stati dimenticati?

Ultime due considerazioni.
La prima: il ruolo dei media. L’operato di molti colleghi di diverse testate, classiche o dei nuovi media, fu fondamentale. Vale la pena, non per attribuire medaglie che non sono né richieste né ricercate, come fu il collega Marco Preve de la repubblica-Genova e all’epoca nella segreteria dell’associazione ligure dei giornalisti-Fnsi, a scoprire e denunciare per primo il caso Bolzaneto nel dettaglio. E come altri come Marco Imarisio, Fabrizio Gatti, Matteo Indice, Marco Grasso tanto per citare i più presenti sul fronte ligure dei fatti di quei giorni e delle indagini successive, non mollarono mai la presa e non senza fatica o difficoltà. Come molti tentativi di inquinare il “pozzo” siano stati posti in essere a partire dalla vigilia del G8 (il lancio dei sacchetti di sangue infetti di Hiv sulla polizia, una fake colossale) alla notte della Diaz (“non è sangue, sono ferite pregresse …sarà succo di pomodoro” disse Roberto Sgalla, ex sindacalista della Ps, portavoce della stessa, la notte della Diaz). I media, noi giornalisti, abbiamo spesso responsabilità non leggere sul come raccontiamo i fatti, ma ancora oggi vado fiero di come un piccolo sindacato come la Fnsi e la Ligure riuscirono a gestire quei giorni, ad assistere circa 1400 colleghi moltissimi dei quali free lance italiani e stranieri, ad essere tempestivi e documentati nella denuncia contro tutte le forme di violenza con e senza divisa. Senza fare sconti o timori reverenziali o ideologici nei confronti di nessuno.

La seconda: la formazione dei lavoratori, sì lavoratori (ricordando magari anche Pasolini e Valle Giulia) delle forze dell’ordine. Sempre più militarizzata, meno concorsi, e ritorna ancora di attualità quanto la (oggi pensionata) vice questore, sindacalista storica del Siulp genovese, Angela Burlando raccontò nella sua testimonianza in “Ripensare la polizia”, «ci siamo riscoperti diversi da come pensavamo di essere», ripreso poi anche in uno special di Rai3 dedicato a quei giorni. I media, chi ha a cuore i diritti e uno stato di diritto non ha nemici in chi lavora nella e per la sicurezza. Perché un giornalista opera o dovrebbe operare in modo “laico”, senza pregiudizio, ma ha un obiettivo, fare sì che vertici e base di quel mondo che è sotto un elmetto, dietro a uno scudo, sotto una divisa siano davvero forze di uno stato di diritto, aiutandoli se possibile e senza diffidenza reciproca a fare sì che il cesto delle mele sia sano. E che ci le sceglie e dirige (preferisco dirige a comanda) sia il primo ad essere convinto di essere parte di uno stato di diritto e ne trasmetta i fondamentali. Politica, l’agenda della politica, permettendo?

*Ex segretario Associazione Ligure dei Giornalisti-Fnsi (all’epoca del G8 2001 di Genova)


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