Lenin Moreno vince le elezioni in Ecuador, dopo un acceso testa a testa nel ballottaggio del 2° turno con il candidato de l’opposizione Guillermo Lasso, 51% contro 49%. Nel 1° turno di febbraio, Lasso aveva preso il 28% e Moreno il 39%.
Analisi di una vittoria sofferta
La consultazione finale di domenica, ai fini di eleggere il successore di Rafael Correa alla presidenza della repubblica ecuadoriana, dopo dieci anni consecutivi di governo, ha sancito due realtà innegabili:
A) Nessun abuso pre-voto; ha prevalso l’indole democratica del socialismo oficialista, già riscontrata durante la mia visita nel 2014 alla vigilia delle amministrative di febbraio, vinte dall’opposizione nella capitale Quito e nei municipi-chiave di Guayaquil e Cuenca. Il forte personalismo del suo leader, mise allora in difficoltà il partito di governo Alianza Pais con la stampa che conta, rafforzando di conseguenza i suoi avversari. Improponibile quindi il paragone con il partner politico più autorevole a livello regionale, il Venezuela di Nicolas Maduro, il cui regime ha portato a compimento in questi giorni la svolta autoritaria più volte annunciata.
B) Lo schieramento di larghi strati della classe media con il candidato dell’opposizione, il banchiere Guillermo Lasso, capo dell’alleanza Creo-Suma, denota il carattere liberista che ha assunto negli ultimi anni il quadro politico nell’America Latina, evidenziato dalla vittoria di Mauricio Macri in Argentina, e impeachment in Brasile de la ex presidente Dilma Rousseff, ben orchestrato dai partiti conservatori.
Che Correa si sia reso conto di quanto sarebbe stato controproducente un colpo di mano alla Costituzione, che limita a due mandati la candidatura della stessa persona alla presidenza, lo dimostra la sua rinuncia a tale azione, sebbene tirato per la giacchetta dal suo partito.
La scelta di Lenin Moreno quale successore, si è rivelata vincente, aldilà del nome di battesimo beneaugurante. Sulla trincea opposta, la vittoria del banchiere avrebbe messo fine all’orientamento sociale degli anni passati, dedito al rafforzamento del welfare tramite gli introiti del petrolio, la sanità pubblica gratuita, e il controllo statale sui giacimenti, la cui estrazione è comunque appannaggio pressoché totale del governo cinese, che rivendica nei confronti dell’Ecuador un credito, per le royalties pagate in anticipo, di oltre cinque miliardi di dollari. Debito aggravato lo scorso anno, causa i prestiti extra concessi come aiuto alla ricostruzione dopo il catastrofico terremoto di aprile 2016, oltre a 6.000 tende e ai viveri dei primi soccorsi. Difficile che la situazione possa cambiare, chiunque sia il vincitore. Lasso ha fatto leva sulla riduzione delle tasse e della disoccupazione, però contro di lui hanno influito le accuse di aver indetto il feriado bancario nel 1999, durante la presidenza Mahuad; 5 giorni di chiusura totale degli sportelli, durante i quali furono trasferiti all’estero milioni, con depositi poi congelati, il tutto avallato dal governo di allora. Feriado.webloc Tendenza che Correa ha combattuto durante i suoi mandati, prima nel 2007, disconoscendo i bond di debito accesi dal governo Palacio che avevano impoverito il Paese, poi nel 2012 con un limite massimo del 10%, riguardo depositi offshore delle banche, sul totale delle loro custodie, oltre a un giro di vite sulle detrazioni fiscali superiori al 10%, a fronte d’investimenti nel settore produttivo, con mutui garantiti da casse di risparmio.
Per ultimo, la nuova legge varata di recente sul rientro dei capitali dall’estero; la goccia che ha fatto traboccare il vaso della lobby bancaria. Mossa obbligata, dopo lo scandalo dei Papeles de Panamà che coinvolse anche il ministro degli Idrocarburi Yanuzelli, tuttora latitante. Molti sostenitori di Lasso accusano di frode il CNE (Consiglio Elettorale) mentre un tweet di Correa imputa la destra di “fraude moral”. Si discute su 10.000 voti fasulli a favore di Alianza Pais e Moreno, trasportati, secondo le voci, da membri di SENAIN, (servizi segreti ecuadoriani) arrestati però prima dello scrutinio, il cui esito Lasso ha comunque impugnato. La differenza tra i due votanti è stata di 220.000 voti circa, per cui meno del 5%, anche se la presunta truffa fosse andata in porto. In realtà, pare che ci siano state irregolarità solo in un piccolo distretto, ininfluente ai fini del risultato.
Se il banchiere non accetterà il verdetto delle urne, il paese rischia di spaccarsi. E i disordini evitati prima del voto, sono già esplosi. Manifestanti a favore del banchiere, hanno incendiato materassi di fronte al CNE ingaggiando scontri con la polizia. Lasso in un tweet ammonisce che non desisterà “no me robes mi voto”.
(© Flavio Bacchetta – Articolo originale su il Fatto Quotidiano il Fatto Blog.webloc)
Approfondimenti (originale per www.articolo21.org)
Le pulsioni da cui è scaturita la decisione del banchiere di lasciare il timone del Banco di Guayaquil, forse il più importante del Paese, e candidarsi alla presidenza, non cesseranno con la sua sconfitta di proporzioni minime. I settori della media borghesia che si sono arricchiti, anche grazie al tentativo di Correa di coniugare statalismo con impresa privata, hanno un obiettivo che non rinunceranno: la riduzione delle tasse, che giudicano troppo alte, su cui grava ora anche l’imposta di successione decisa l’anno scorso dall’erario.
Tasa de Impuesto a la Renta Corporativa, cioè il tasso di imposta sul reddito delle società, è di circa il 25%, oltre a una bolletta della luce, proporzionata ai consumi delle attività, e una tassa di possesso sui veicoli a uso aziendale, che oscilla tra 30 e 50 dollari, secondo la cilindrata. Un lavorante paga circa il 14% imposte sul reddito, una bolletta di una famiglia media si aggira sui 15 Usd.
Grazie al petrolio, la benzina è bassa per tutti: un dollaro al gallone. Un gallone americano corrisponde a 3,80 litri. Ergo, 0.263 centesimi di dollaro. I trasporti extraurbani hanno un costo di un dollaro per ogni ora di viaggio, in autobus o treno che sia, per un massimo di nove ore di tragitto. Il settore bancario continua a non digerire, oltre il limite dei depositi offshore già descritto, il prelievo sui servizi venduti alla clientela, come prestiti, mutui e acquisto di strumenti finanziari. Denaro che va a finanziare il Bono de Desarrollo Humano, soprattutto a favore delle pensioni di cittadini a basso reddito, che oggi riguardano circa due milioni di ecuadoriani, e le casalinghe con figli a carico.
D’altra parte, il micro-credito ha consentito a circa 60.000 cittadini di ricevere prestiti al tasso agevolato del 5%, per una media di 5.000 dollari a testa. Un totale, registrato al 2014, di 300 milioni. La spada di Damocle, continua a essere rappresentata dall’impegno assunto con il governo di Pechino, che ha ottenuto anche un bonus, consistente in dazi doganali ridotti per l’importazione di veicoli. E una possibile intromissione nel salario medio degli operai dell’estrazione, che le compagnie cinesi vorrebbero ridurre. Lenin Moreno dovrà affrontare tutto ciò, il suo compito è arduo. Quando era rappresentante ONU dei disabili (egli è paraplegico dal 1988, dopo una sparatoria durante una rapina) e vice-presidente, decretò una pensione minima, secondo il grado di disabilità. Il suo approccio calmo e diplomatico, avrà un sicuro vantaggio rispetto all’irruenza e agli eccessi di Correa, che hanno alienato al partito anche l’appoggio della stampa, tranne il quotidiano governativo El Telegrafo, che, a livello vendite, equivale alla nostra Unità.
Per ricucire in qualche modo lo strappo con le testate più importanti, quali El Universo dei fratelli Pérez, e El Comercio, schierate con l’opposizione fin dal fallito colpo di stato del 2010, soprattutto dopo la condanna a tre anni del direttore Palacio de El Universo, poi condonata dallo stesso Correa. Condanna che invece non ha risparmiato il blogger Villavicencio.
Il quotidiano dei Pérez, ha negato la vittoria di Moreno fino alla tarda serata di domenica, quando già gli altri e le testate internazionali annunciavano il risultato finale degli scrutini. Probabile che, finita l’emergenza terremoto, Moreno voglia alleggerire il carico fiscale, abbassando l’IVA e l’imposta sui redditi più elevati. Una strategia opportuna, se il bilancio statale e l’avanzo primario lo consentiranno. Sta di fatto che, salvare uno dei due socialismi atipici del continente americano, insieme alla Bolivia di Morales e Linera, che ha finora rispettato crismi democratici e tutelato la piccola impresa, appare quasi un must. E se guardiamo a fondo lungo il resto del Pianeta, tranne loro e gli stati scandinavi, non appare altro all’orizzonte. (f.b.)