Questo inizio d’aprile ci regala due anniversari su cui è opportuno riflettere. In essi, infatti, è racchiusa tutta la magia del Novecento, di questo “Secolo breve” fradicio di sangue e straziato da innumerevoli lutti ma anche illuminato dalla poesia di artisti straordinari quali furono, senza ombra di dubbio, Luigi Comencini e Allen Ginsberg (nella foto), di cui ricorrono, rispettivamente, il decennale e il ventennale della scomparsa.
Comencini, nativo di Salò, non è stato solo uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi: è stato anche un amante dei bambini, un narratore senza eguali delle loro storie tragiche e ingenue, un cantore dell’innocenza e un sognatore, capace di emozionarsi e di condividere gli stessi sentimenti sia dei suoi piccoli interpreti sia dei suoi piccoli spettatori, educati da un cinema e da una tv di grande qualità, colta, pedagogica e in grado di trasformarli in cittadini anziché in sudditi o in burattini privi di un pensiero compiuto.
Comencini e la commedia all’italiana, Comencini e i suoi capolavori, Comencini e l’eredità della sua arte che oggi continua a vivere nelle opere delle sue figlie, Comencini e il vuoto che ha lasciato la sua scomparsa, al termine di un’esistenza esemplare e lunga quasi un secolo, vissuta interamente al servizio del cinema e della comunità, con una gioia di vivere, un’intensità e una forza d’animo che costituiscono un modello per le nuove generazioni.
Allen Ginsberg, invece, è stato uno dei principali esponenti della Beat generation: narratore e simbolo dell’America inquieta, vagamente anarchica e infarcita di meravigliose utopie che si batté, a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta, contro l’ordine costituito, contro le convenzioni sociali, i costumi tradizionali, la guerra del Vietnam, i soprusi di un potere politico soffocante e autoreferenziale e i tabù di un panorama artistico che quei ragazzi ritenevano inadatto a raccontare una Nazione in bilico tra conservazione e modernità, antiche convinzioni e slanci verso il futuro, generazioni desiderose di pace e serenità sociale e giovani desiderosi, invece, di cambiare e sovvertire lo stato delle cose.
Un autore complesso, un poeta che non esitò mai a far ricorso a droghe di varia natura, ebbe rapporti omosessuali e visse sempre al confine, sospeso fra l’accettazione dei benpensanti e la sua tendenza ad essere il Rimbaud americano, la voce degli ultimi, l’urlo di rabbia dei dannati, dei dimenticati, dei poveri, di coloro che volevano cambiare tutto e sapevano, purtroppo, di non poterci riuscire, in un crescendo di rabbia, disillusione, sconforto e sfida senza alcuna possibilità di mediazione ai poteri dominanti.
Un gentiluomo distinto e il ribelle per antonomasia: accomunati da un anniversario, divisi da tutto il resto. Volti, voci e storie di un secolo che ha ancora tanto da dire, essendosi snodato pericolosamente a metà fra l’abisso e lo stupore.
P.S. Quest’articolo è dedicato a Memè Perlini, protagonista del cinema e del teatro d’avanguardia, che, fra gli altri, aveva lavorato anche con Comencini. Ha scelto il suicidio: era malato dentro e stanco di vivere. La sua arte ci ha suscitato profonda ammirazione, la sua tragica scelta merita rispetto.