“Chinamen”. la storia dei cinesi in Italia in una graphic novel

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È un’opera completa, fatta di diversi elementi, il nuovo lavoro di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte. Chinamen non è solo un graphic essay, un doc a disegni animati e una mostra, ma un progetto in continua ridefinizione e aggiornamento, un continuo lavoro di ricerca (in coda all’articolo le immagini).

Perché “Chinamen”, un titolo che anche grazie a un gioco di colori si può leggere con varie sfaccettature e rimanda al termine con cui venivano chiamati a inizio secolo i cinesi in Europa e in America, dagli inglesi, è un percorso itinerante, fatto di mostre e incontri, ma anche di un documentario e di una graphic novel. Il tutto, nello stile dei due, attraverso illustrazioni che uniscono una estetica ricercatissima e allo stesso tempo una precisione quasi maniacale nel ricostruire situazioni, luoghi o oggetti. Senza rinunciare alla fantasia, ci portano in un viaggio che ripercorre la storia dei cinesi in Italia. Una storia per molti anni nascosta anche agli stessi cittadini di origine asiatica ma italiani a tutti gli effetti e che Matteo Demonte, che è uno di questi, ha voluto raccontare. “Il tentativo di Chinamen – racconta Matteo – è stato quello di inquadrare la storia dei cinesi d’Italia all’interno della più ampia trama della diaspora cinese nel mondo. Fino ad oggi si è continuato a legare la vicenda dell’immigrazione cinese in Europa alla storia degli oltre 100.000 coolies che arrivarono per scavare le trincee in Francia durante la prima Guerra Mondiale. Le nostre ricerche e le ricerche del professor Daniele Brigadoi Cologna, (Università dell’Insubria) ci raccontano invece di cinesi provenienti da una regione specifica della costa sud orientale della Cina, il Zhejiang: da quest’area avrà origine la più grande emigrazione dalla Cina verso l’Europa nella modernità e da qui provengono cinesi che sono sempre stati commercianti e che se sono passati per la Francia, ci sono arrivati comunque dopo la Grande Guerra, in cerca di nuovi mercati. Chinamen ci racconta quindi come questo primo piccolo flusso migratorio verso l’Italia abbia avuto il via grazie ad una società commerciale sino-giappo-francese che commerciava perle finte e che, tra il 1926 e il 1927 inviò nel nostro Paese circa 200 rappresentanti cinesi, proprio i nostri venditori ambulanti… Questa storia dei primissimi migranti cinesi in Italia è poco conosciuta anche in Cina, ma a partire dagli anni ’90 la situazione cambia radicalmente, anzi, quest’immigrazione diventa il “modello WenZhou”, un modello di immigrazione di successo, di taglio marcatamente commerciale, studiato nelle università cinesi. Oggi la posizione dei “cinesi d’oltremare” è riconosciuta come una risorsa, anche economica”.

La città di Milano, dove al Mudec – Museo delle Culture è stato presentato per la prima volta il lavoro, è dove tutto comincia. Anche grazie all’Expo del 1906. “Noi– risponde Ciaj questa volta – abbiamo raccontato dell’Expo del 1906 perché al seguito della delegazione imperiale cinese che partecipò all’evento vennero anche dei commercianti che esportavano piccoli oggetti d’arte e tè e furono questi ultimi che si stabilirono per primi nelle zone adiacenti alla fiera, proprio in via Canonica. Non erano migranti e ripartirono portando con sé il ricordo di questi luoghi lontani: Milano, Rotterdam, Parigi, Saint Louis… possibili mercati, luoghi su una mappa, mete per i futuri migranti dei loro villaggi di provenienza.
La storia di Wu Qiankui raccontata in questo primo capitolo dell’Expo è per noi molto importante. E’ un personaggio realmente esistito e la sua storia è ben documentata; proveniva proprio da Longxian lo stesso villaggio del nonno di Matteo e avevano lo stesso cognome “Wu”; probabilmente era uno zio, chissà se fu lui a parlare per la prima volta di Milano al nipote? Per cui l’abbiamo scelto come innesco per la nostra storia perché ne rappresentava il seme, un simbolo”.

L’Italia in un secolo e più, è molto cambiata. Stessa banale considerazione si può fare per la China. E voi questo aspetto lo toccate, ricostruendo crisi internazionali, come quella di Taiwan ad esempio. Fatti lontani in tutti i sensi che è importante notare come sono stati percepiti da chi era lontano, o da chi addirittura in Cina non aveva mai messo piede perché nato qui, in Italia.

“Fino agli anni ’70 in modo trasversale. Ti faccio un esempio concreto. Mio nonno ha lasciato la Cina negli anni ‘20. Era appena caduto l’impero Qing, la neonata repubblica cinese e la rivoluzione comunista era ancora di la da venire. Lui era repubblicano e nazionalista come tutti i suoi amici e compaesani. Quando nel ’49 la Cina è stata liberata ed è stata proclamata la Repubblica Popolare, mio nonno che si era costruito una famiglia in Italia, ha messo da parte l’idea di tornare in patria e così molti emigranti della prima ora come lui. La transizione verso la Nuova Cina, la Cina Comunista è avvenuta lentamente certo c’è stata un’ambasciata a Roma fin dal 1971, ma il primo consolato generale della Repubblica Popolare Cinese sarà istituito a Milano solo nel 1987.
La pubblicazione di Chinamen oggi e di Primavere Autunni (il volume precedente sempre edito da Becco Giallo) l’anno scorso, hanno provocato nei cinesi di seconda e terza generazione una specie di riscoperta, non tanto delle loro origini ma del contesto storico in cui questa complessa vicenda migratoria è nata e si è sviluppata, con caratteristiche precise fino ai giorni nostri. Ora come un secolo fa sono ancora quelli il clan e i villaggi ancestrali di provenienza dei nostri cinesi d’Italia”.

Lavori di questo tipo sono molto rari, frutto di studi, di incontri, di documenti cercati e trovati, di traduzioni, discussioni. Un editore cinese ha acquistato i diritti per la loro prima graphic novel, Primavere e Autunni (Ed. Becco Giallo), che raccontava proprio della vicenda biografica del nonno di Matteo arrivato in Italia dalla Cina nel 1931”.
Nel libro ci sono alcuni episodi che rimarcano la capacità di introdurre nel mercato prodotti mai visti prima. Sono poi oggetti, come l’UniPosca che molti sicuramente ricordano, che sono entrati nell’uso comune delle persone che però ignorano come siano arrivati nelle loro mani. Cancelleria vintage, ma che ha segnato un’epoca.

“La vicenda di Mario Tschang è una storia unica e paradigmatica allo stesso tempo. Mario è il primo figlio della comunità, il primo cinese-italiano nato dal primo matrimonio misto. La leggenda narra che nel quartiere ai tempi i cinesi festeggiarono per una settimana intera. Era il 1933. Mario come suo padre è stato un pioniere, così come suo padre che era stato uno dei famosi perlari degli anni ’20, Mario lo diventò 40anni dopo aprendo un’altra pista commerciale che collegherà l’Italia alla Cina e all’Oriente tutto. Il suo racconto ci ha permesso di attraversare un piccolo spaccato legato sia ai materiali che alle stesse lavorazioni. Mi riferisco alla storia della merce, dei prodotti, innumerevoli manufatti cinesi che da anni ormai hanno colonizzato non solo i nostri mercati, ma anche il nostro immaginario. Made in Japan, Made in Taiwan, Made in Hong Kong, made in China e ora l’anonimo acronimo Made in R.P.C.
Oggetti che hanno rivoluzionato il nostro modo di scrivere, disegnare e progettare: dalle prime matite con micromina ai pennarelli Uniposca by Osama. Ma sono infinite le derive commerciali che da quella prima incursione di Mario nei lontani anni ’60 si sono sviluppate tra Italia e Cina: Hong Kong è rientrata in Cina nel ’97 e solo dal 2001 la Repubblica Popolare è entrata a far parte del WTO. Nel frattempo Mario Tschang ha costruito a Shanghai Palazzo Lombardia per l’allora “Celeste” Roberto Formigoni”.


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