Bettoni (Anmil): la sentenza del tribunale di Ivrea ci spinge a batterci per il riconoscimento nelle tabelle Inail

0 0

“La sentenza del Tribunale di Ivrea che riconosce il nesso causale tra l’uso scorretto del telefonino e l’attività lavorativa riconoscendone la malattia professionale, aveva avuto già due precedenti: la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 614, del 10 dicembre 2009 confermata successivamente dalla Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 17438 del 12 ottobre 2012”, specifica il Presidente nazionale ANIML, Franco Bettoni, commentando la notizia. “Le pronunce emesse fino ad oggi  – prosegue il Presidente Bettoni – dovranno avere una conseguenza immediata soprattutto in relazione ai piani di valutazione dei rischi delle aziende in quanto si renderanno necessarie delle norme in materia di prevenzione in base all’art. 2087 del codice civile e al decreto legislativo 81/2008, oltre ad una adeguata informazione e formazione dei lavoratori da parte delle aziende sull’uso dei cellulari e dei cordless e, comunque, di tutti gli strumenti tecnologici che emanano radiofrequenze”.

“Se è vero che la sentenza del Tribunale di Ivrea ha avuto già due precedenti pronunciamenti giurisprudenziali nel medesimo indirizzo – spiega l’Avv. Mauro Dalla Chiesa, Responsabile dei Consulenti Legali ANMIL – va considerato che il riconoscimento della malattia professionale ha due diversi presupposti: il primo è dato dalle cosiddette malattie tabellate previste da un apposito decreto ministeriale; infatti, in presenza di determinate mansioni lavorative che configurano un’esposizione qualificata al rischio vi è la presunzione di malattia professionale, nel senso che è l’istituto assicuratore (cioè l’INAIL) onerato di dare la prova contraria che non vi sia nesso di causalità tra la lavorazione svolta e la malattia medesima. Il secondo presupposto si riferisce alle patologie cosiddette non tabellate ed alle malattie ad eziologia multifattoriale: in questi casi, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della ‘mera possibilità dell’origine professionale’, questa può essere invece ravvisata in presenza di un ‘rilevante grado di probabilità’. Nel caso trattato dalla sentenza della Cassazione sopra citata, la Suprema Corte aveva accolto la domanda di un lavoratore che era stato esposto alle radiofrequenze di telefoni cordless e cellulari per un periodo complessivo di dodici anni per 5-6 ore al giorno da cui era derivata la neoplasia tumorale. La Suprema Corte aveva ritenuto attendibili alcuni studi epidemiologici svolti negli anni tra il 2005 ed il 2009 che avevano evidenziato un nesso di causalità diretto tra l’esposizione alle radiofrequenze generate dai telefoni cordless e cellulari e la malattia tumorale”.

“Siamo pronti ad impegnarci per far tabellare dall’INAIL questa nuova malattia professionale – conclude Bettoni – affinché la copertura e la tutela dei lavoratori siano sempre meglio garantite e non siano danneggiate le parti più deboli”.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21