Era il 1937, ottant’anni fa. L’aviazione nazi-fascista della Legione Condor bombardava la città spagnola di Guernica e Pablo Picasso dedicava all’eccidio un quadro destinato a passare alla storia: un quadro cubista, tragico, straziante, di una potenza espressiva senza eguali nella sua cupezza e nella sua capacità di trascinamento emotivo, con una Spagna a terra, sventrata, devastata eppure aggrappata ad una fiammella di luce, ad un ultimo barlume di speranza, alla prospettiva di un cambiamento che all’epoca non era certo alle viste.
Ottant’anni fa la Guerra civile, l’appello di Carlo Rosselli, qualche mese prima, dai microfoni di Radio Barcellona, l’invito a resistere contro tutti i fascismi, ad unirsi e a fare fronte comune, mentre tutto crollava e si scivolava, giorno dopo giorno, verso l’abisso del conflitto mondiale e delle stragi che avrebbero insanguinato il decennio successivo.
Ottant’anni fa la morte di Antonio Gramsci: intellettuale, giornalista, fondatore dell’Unita e figura capace persino dal chiuso di una cella di ragionare, riflettere e sognare un avvenire diverso e migliore, al punto che oggi il patrimonio culturale che ci ha lasciato è non solo più vivo che mai ma anche ricco d’attualità, di lungimiranza e oggetto di studio in ogni angolo del mondo.
Rendere omaggio a Gramsci è, dunque, il modo migliore per celebrare la Resistenza di oggi e di sempre, partendo dall’esempio dei partigiani e di quanti, come lui, affrontarono la tragedia del carcere, del confino, della solitudine, delle torture, dei pestaggi e dei soprusi più feroci pur di difendere le proprie idee, i propri valori e la propria dignità.
L’attualità di Gramsci brilla negli occhi dei ragazzi di vent’anni che oggi parlano d’Europa e di democrazia; la grandezza di Gramsci rivive nelle parole di quanti amano ancora la politica; la poesia di Gramsci risiede nel suo coraggio eroico, nel suo strenuo lottare, anche quando era ormai in condizioni disperate, affinché determinate idee e determinati valori non andassero perduti, diventando così un mito, un martire della libertà e un’icona del pensiero democratico occidentale.
Antonio Gramsci, tuttavia, non è un santino da esibire, così come Guernica non è solo una strage da commemorare: stiamo parlando, al contrario, di due ferite profonde e tuttora aperte nel nostro tessuto sociale e nel nostro percorso storico; stiamo parlando del sangue di chi non ha rinunciato a battersi in nome delle nostre idee e dei nostri princìpi in anni ormai lontani ma assai più vicini di quanto non crediamo; stiamo parlando di vicende culturali e politiche che, per essere comprese, richiedono una complessità, una profondità di pensiero e una nobiltà d’animo di cui non molti attualmente dispongono.
Perché Gramsci è il simbolo di una lotta a costa della vita, è un eroe dai tratti risorgimentali, è un ideologo e organizzatore di idee, è la comunità anteposta all’individualismo, è il rifiuto di ogni forma di egocentrismo e di oppressione della persona, è l’immensità dell’umano e il senso della sua finitezza; è insomma una figura troppo imponente per stare in un articolo, difficile da raccontare a parole, fragile e straordinaria al tempo stesso, un raro esempio di lealtà e dedizione alla causa, uno sguardo costantemente rivolto agli ultimi e agli esclusi, un faro acceso sulla vastità di confini che già allora considerava immensi e, infine, una risposta a quanti si sentono, non a torto, disillusi, sconfortati e abbandonati da una politica incapace di suscitare emozioni, passioni o anche solo sentimenti e momenti di analisi collettiva.
Non è un caso che le due tragedie siano state concomitanti, non è un caso che le ricordiamo insieme e non è un caso che oggi si parli di una resistenza europea, comune a popoli e nazioni diverse, a conferma di quanto ci sia bisogno, per l’appunto, di unità, condivisione e rifiuto di qualsivoglia forma di violenza e di barbarie.
Gramsci e l’unicità del comunismo italiano, di una tradizione che resiste indomita e che non ha alcuna intenzione di arrendersi. Guernica e le basi del ritorno alla democrazia per cui, purtroppo, la Spagna dovette attendere quasi quarant’anni.
Due storie, due drammi, due addii, due atti di ribellione e un pensiero comune, come europei, a ciò che è stato e non dovrà essere mai più. Per non dimenticare.