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Trump & co. tra rating al ribasso e scandali alle porte

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Meno undici: questo l’indice di approvazione politico di Trump nel suo primo mese da presidente. Il più basso da quando la Gallup ha iniziato a registrarli, nel 1953. Fatto del tutto insolito. Tradizionalmente infatti nel periodo iniziale vige una sorta di “luna di miele” tra i poteri politici. Stavolta invece sono molto bassi gli indici di gradimento di Democratici (10) e Independenti (38), pur a fronte del voto elevato dei Repubblicani (88). Per fare qualche raffronto, nello stesso periodo, Obama toccava quota 36, Clinton 18, W. Bush 33 e Reagan 48, mentre il più basso finora era Ford (14). Tutti comunque di segno positivo, nessun neo-presidente era mai sceso sotto lo zero. 

Trump Ratings, NYTPur se i Repubblicani sembrano essersi ricompattati dopo le fratture della campagna presidenziale, l’ampio gap complessivo conferma la netta spaccatura causata nell’agone politico dalla nuova Amministrazione. Analoga a quella popolare e mediatica che va innervosendo l’intero Paese. E nonostante generici appelli all’unità nel suo primo intervento davanti al Congresso Trump continua a suscitare divisioni e critiche proprio in base al suo programma portante: “Via l’Obamacare, taglio epocale delle tasse, stretta sugli immigrati per dare lavoro agli americani”.

Perfino i rating TV che tanto ossessionano Trump vanno in caduta in libera: pur se seguito dal 27,8% dei telespettatori sulle sette maggiori reti televisive, il suo discorso dell’altra sera ha registrato un meno 17 punti percentuali rispetto a quello di Barack Obama nel 2009. E mentre l’intervento è stato salutato come “molto positivo” dal 57% dell’opinione pubblica, nel 2009 (Obama) tale indice toccava il 68% e nel 2001 (Bush) il 66%.

Né sono mancati gli immediati fact-check su dati e contesti forniti da Trump, come ha fatto il New York Times,  segnalando fra l’altro:

Trump ha detto che i disoccupati oggi sono 94 milioni. Non è corretto, perché la cifra include tutti gli americani sopra i 15 anni senza lavoro, compresi studenti, disabili, pensionati e altri famigliari a carico. In realtà il numero di cittadini alla ricerca di un lavoro è molto più ridotto. Secondo le statistiche del Ministero del Lavoro, a gennaio i disoccupati erano circa 7,6 milioni.

da TwitterAnche se stavolta Trump è apparso “più morbido” rispetto a interventi precedenti, testate come New Republic non esitano a parlare di “peggiore performance di Trump” (puntando poi  il dito sull’accoglienza fin troppo benevola dei media mainstream). Invece i social (soprattutto Twitter) hanno rilanciato sarcasmo e puntualizzazioni. Anche se, purtroppo, ormai pubblico e media devono sudare non poco per smascherare bugie e approssimazioni presidenziali e l’andazzo non promette di cambiare granché in futuro.

Contesto in cui va segnalata un’ampia inchiesta apparsa nei giorni sul londinese Guardian, da cui si viene a scoprire che Robert Mercer, milardiario Usa del settore dei fondi speculativi, ha versato cospicui contributi alla campagna Trump, vanta la comproprietà del sito d’informazione ultra-conservatore (“alt-right”) Breitbart News Network, è amico di vecchia data di Nigel Farage ed è stato tra i fautori del successo della Brexit. Una serie  di dettagli poco noti e anzi tenuti volutamente nascosti, come lo stesso basso profilo di Mercer nell’attualità contemporanea, ben al di  là dei suoi noti contributi finanziari a cause di taglio conservatore. In particolare:

La sua azienda di analisi dati (Cambridge Analytica) ha fornito consulenza e assistenza alla  Leave campaign su come raggiungere i votanti in dubbio via Facebook, creando un enorme database dei profili degli utenti – una donazione di servizi non dichiarata alla commissione elettorale come impone la legge. … Secondo Martin Moore, del King’s College di Londra, “questo tipo di supporto non dichiarato è estrememente preoccupante, perchè mina la base stessa del nostro elettorale, un terreno di confronto che dovrebbe essere uguale per tutti”.

Agganci internazionali nascosti che, pur se in buona parte seppelliti dalla cacofonia continua proveniente dalla Casa Bianca, non fanno che gettare benzina sul fuoco di un “Russiagate” che pare estendersi a macchia d’olio. Emergono infatti altri dettagli su questo scandalo potenziale: l’altro giorno il Washington Post ha documentato che il fresco Attorney General, John Sessions, aveva comunicato due volte con l’ambasciatore russo nel 2016, pur avendolo negato davanti alla Commissione giudiziaria del Senato durante il recente procedimento di conferma. Si parla anzi di ulteriori incontri segreti al vertice, e chissà che quanto prima non usciranno allo scoperto altre manovre sottobanco.

Crescono le fonti e i cittadini che in queste ore lo accusano di spergiuro e ne chiedono le dimissioni – inclusa Nancy Pelosi, leader del gruppo parlamentare democratico. Oltre a una manifestazione davanti al Ministero di Giustizia e nuovi appelli online, si prevedono nuove proteste in occasione dell’8 Marzo, la tradizionale Giornata della Donna, dallo “International Women’s Strike” (con eventi in 35 Paesi) al “A Day Without A Woman”.  Intanto Politico prevede effetti disastrosi per quest’ennesima controversia (o magari succederà  con la prossima), e l’Huffington Post ha assemblato un elenco delle “prime 100 bugie del Team Trump“, da quelle sciocche a quelle serie.

Un quadro che porta inevitabilmente a rinnovati appelli per Impeach Donald J. Trump!: l’omonima petizione online ha raccolto quasi 300.000 firme, mentre la città di Richmond (al margine nord della Bay Area di San Francisco) è stata la prima ad approvare una formale risoluzione in tal senso, basata sul modello redatto dagli avvocati del comitato Free Speech For People.

Chissà come andrà finire… anche se c’è da scommettere che Trump e la sua armata, tanto per non smentirsi, proveranno nuovamente a liquidare il tutto come “fake news”.

 

Da vociglobali


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